giovedì 25 dicembre 2008

...natale nell'orto...

scrivo qualcosa,
solo per evitare di far passare un mese dal vecchio scrtto.


e già che ci sono dare il buon Natale
a chi passa di qua...

e a chi, in questi giorni, mi ha pensato..


un pensiero a tutti quanti


 

sabato 29 novembre 2008

destino cane

A Rimini, città
- fumando una sigaretta
- con la finestra aperta sul cortile
- c'era un cane
- nel recinto adiacente
- che fermo aspettava.

- Pensai alle immagini che il mondo
- crea per comunicare con noi
- creatura mondo...
- e chissà quella immagine di cane
- cosa doveva dirmi

- E pensai a mio padre
- "stando in quella casa non troverai lavoro"
- ed era vero.

- E pensai alla forma del destino.
- Destino mutevole, ma sempre scritto.

- Che in ogni istante e li difronte a noi
- a volte chiaro a volte irriconoscibile
- e che se continuiamo a seguire
- quello resterà.
- Ma se il passo si svincola,
- e la direzione cambia,
- quel cammino svanirà,
- visibile o invisibile che sia.
- E se ne creerà un altro,
- con le stesse qualità.
- Che un istante prima non era
- e un'istante dopo potrà cambiare nuovamente

- E ad ogni passo,
- il cammino rimarrà immobile
- o muterà,
- secondo le nostre azioni.

Le nostre scelte.

venerdì 21 novembre 2008

certezze e autostop

qualche anno fa,
era forse il 2003,
ero arrivato a una conclusione.
una delle tante


la vita è un volo, o almeno il tentativo di farlo
e ci sono tre tipi di persone:
quelle che non sanno volare e precipitano,
quelle che hanno un paracadute, e atterrano lentamente
e quelle che sanno volare.. ma queste sono le più rare.


chi non sa volare,
percependo di precipitare,
si dispera e cerca di afferrare qualcuno.

se abbraccia chi già precipita, beh precipitano più velocemente,
ma è la sindrome del cerotto.
farla finita subito

o abbraccia chi ha il paracadute,
rallentando il precipitare ma condannando l'altro.

guai, avendoci il paracadute,
a lasciarsi afferrare da uno che precipita


poi c'è chi sa volare che abbracciando può salvare
e volare  via insieme.


e si sa, che quando uno arriva a una conclusione,
generalmente si impersonifica con la figura migliore.
per legittimarsi.


ma per volare servono certezze.
forti, costanti, imperturpabili.


le certezze... già.

che le certezze però non sono sfere.
che le sfere, da dovunque le guardi, restano sempre sfere.
da sopra, da sotto, dal lato.


qualcosa mi fa pensare che chi ha certezze,
dovrebbe star fermo dov'è,
per vedere quello che vede sempre nello stesso modo.
e sereno continuare, sorridente, a volare.


ma bisognerebbe essere umile e,
soprattutto,
consapevole che cambiando il punto di vista le cose rischiano di cambiare....


per questo la certezza non è fatta per l'uomo curioso.
non  è fatta per chi,
costantemente,
mette in discussione quel che,
fino a cinque minuti fa,
poteva essere la sua certezza.

ma la curiosità,
se non sbaglio nel Simposio Socrate ne parlava,
può rendere l'uomo arguto, 
ma convinto solo che le certezze difficilmente saranno
per lui
tali.

e qual'è quindi la soluzione?

ma le conclusioni,
giassai,
non possono finire con un punto di domanda,

le conclusioni sono risposte,
le conclusioni sono certezze,
e le certezze non fanno domande,
quelle le fanno i curiosi.


e allora mettiamo in mezzo anche la possibilità che chi sa volare,
a un certo punto,
non ce la faccia più,
e smette di farlo.
e nello smettere rendersi conto che,
in fondo,
di certezze non ce ne sono.


a questo punto la risposta è abbastanza banale:
ed è non rispondere,
ma scegliere e cominciare a camminare.
senza
però,
fare l'autostop

lunedì 27 ottobre 2008

fotosintesi crinifilliana

mi è stato osservato,
più o meno implicitamente,
che forse dovrei smettere di raccontarvi dei cavoli miei.

[i miei Cavoli,
che di lumaconi ricoperti,
all'oscurar della valle,
e con le foglie tutti buchi,
solo le più forti continuano a cresce]


Sono, come sempre,
giorni intensi,
a faccia a faccia con se stessi, con la crisi, e con chi,
tuttintorno,
continuano a farmi compagnia.

Di lavoro meglio non parlarne, davvero.


a volte viene quasi voglia di inventarsi qualcosa...
di inventarsi qualcosa...

A Manuel gli è cresciuta la cresta.
bella, rossa che ancora sta su.
Manuel,
che qualcuno già chiama Marcos, ancora non fa
chicchiricchi,
e Rita, anche lei con altri mille nomi,
ancora non fa le uova.
Ma aver un pollo e una gallina,
come animali domestici, mette allegria,


perlomento perchè, si sa, loro sono creature stupide
[hai il cervello di gallina... sei proprio un pollo!],
e al confronto ci si sente molto intelligenti.

è arrivato anche il tempo delle fave, crescono,
come sempre lentamente, in fondo all'orto.
e gli spinaci,
lidifianco,
non so se sono loro.
Che le piantine, che nascono da semi,
non sono mica facili da riconoscere
[che sia gramigna, ortica o chissacché]

Gli ultimi pomodori, Verdi, non riescono a raggiungere la maturazione.
che di sole ce n'è ma forse non abbastanza.

Forte invece è l'effetto del sole sulla mia testa.
I capelli crescono allegri,
e nonostante il kundalini cerchi di venir fuori,
il buon vecchio nido di paglia,
che molti di voi già conoscono,
è rivenuto su.

E con i capelli ricci e all'insù,
a fare fotosintesi per i pensieri,
i ragonamenti, le idee e le visioni del mondo,
si rincorrono nei cerchi soliti,
tra morale, progresso e cultura.

Ma non è ora che devo raccontarlo.
questo messaggio era solo per farvi sapere che tutto procede bene,
che la crisi qua non si sente pe' gniente
e che la scorsa settimana mi sono venuti a trovare gli architetti sostenibili,
in compagnia del muy amabile architetto chileno.

Il posto per dormire c'è, da loro collaudato.
per avere commenti rivolgersi a loro,
che vi spiegheranno.

Spero in un post più introspettivo nei prossimi giorni.
per ora vi abbraccio tutti.


 

giovedì 9 ottobre 2008

di Cavolaie di cipolle e di altre storie

oggi osservavo le foglie del cavolo.
nel senso proprio di foglie di cavolo,
il cavolo dell'orto di casa.
in generale i cavoli stanno venendo su,
da quando, piantine in vasi di plastica,
(eh già plastica...)
le abbiamo trapiantate nel terreno,
vangato, compostato e zappato.
Appaiono però buchi sparsi sulle foglie.
La causa pensavamo fosse una,
le lumache, quelle che si portano dietro la casa.
Erano presenti, infatti, rimasugli di sbavature, che non lasciavano dubbi.
Oggi però nel mio giro quotidiano per l'orto,
ho visto una cosa che mi ha fatto venire i brividi.
dei piccoli lombrichetti, della lunghezza di circa un centimetro,
avevano organizzato un sittin sulla foglia di un cavolo.
erano una quindicina.
Trattasi, e lo dico in base alle indicazione della nostra bibbia da orto,
di cavolaie,
farfalle che depongono le uova nella parte di dietro delle foglie,
che successivamente si schiudono e liberano queste larvette,
golose di foglie tenere di cavolo.
Armato di pinzetta e di una coppetta ho liberato le foglie
sia delle larve che delle uova.
Le foglie risultano mangiucchiate ma ancora utili.
le larve le ho date a Rita e Manuel, i polli, che hanno gradito.
Critici, alcuni componenti della casa, sul mio procedimento:
anche le larve sono esseri viventi...


Per le cipolle ho interrato i bulbini che,
nati dai semi,
l'autunno scorso, sono stati conservati.
Le cipolle che compriamo al supermarket difficilmente arrivano direttamente da seme.
ci sono due fasi, come predetto.
approfittanto del fazzoletto di terra utilizzato per metà dalle cipolle,
ho interrato qualche spicchio d'aglio.
L'aglio, per venir su, non ha seme.
o meglio, il seme è rappresentato da uno spicchio di aglio già venuto su.
da quello nasce la nuova pianta.


In questi giorni si è parlato molto di armonia e equilibrio.
da quanto ho capito le cose stanno così.
esiste un tempo, quello che va al di la degli orologi e dei calendari,
che è il tempo delle stagioni, delle stelle, dei pianeti e della luna.
l'uomo, non so se arrogante, intraprendente o sbadato, da un po' di tempo,
al contrario di quel che avveniva in passato,
ha cominciato a ignorare questo tempo,
cercando con la tecnica e la scienza, di modificarlo,
per renderlo più comodo e allineato alle proprio esigenze
(cioè avere tutto quando je pare a lui!)
pare funzioni
(vedi i supermercati sempre pieni di tutto ciò che a uno gli passa per la testa),
il problema però ha due facce:
la faccia interna,
che porta l'uomo a stressarsi instancabilmente,
al fine di sfruttare queste opportunità al massimo,
(del resto spaccandosi il culo tutto il giorno se lo dovra pure meritare);
la faccia esterna,
legata al fatto che tutto il resto che sta
al di là del sociale,
si trova in totale contrasto con i ritmi umani,
e reagisce difendendosi in maniera
più o meno organizzata,
più o meno violenta,
più o meno efficace.
Ciò porta a far stressare sempre più l'umano,
con ripercussioni che lasciano sempre più perplessi,
sia dal punto di vista sociale
che dal punto di vista ambientale.


Rimango, mio malgrado,
ancora disoccuppato.
L'orto ancora non soddisfa le mie esigenze alimentari,
e per entrare a pieno regime ci vorrà,
perlomeno,
un annetto.
I tempi dell'agricoltura sono lunghi.
I cavoli erano piantine un mese va.
ora sono piantine più grandi, con le foglie bucate.
le cipolle e l'aglio riposano sotto terra,
e chissa quando spunteranno le prime foglioline.


A volte verrebbe voglia di andare al supermercato,
a comprare un paio di palle di verza.


i soldi, con il loro ghigno brillante,
allontanano gli occhi dalle stelle.


ps. per chi fosse curioso di saperlo, ora vivo qui.

giovedì 2 ottobre 2008

amarmale

dormire, è sempre stato il mio vizio.

forse solo l'amore potrebbe averlo vinto.
l'amore, o forse l'amar male.

forse sono i sogni,
quelli del sonno,
chechissaperchè
- e qualcuno potrebbe anche spiegarmelo -
hanno lo stesso nome dei sogni,
quelli reali, quelli che dalla realtà si tende.

il mio sogno e vivere in campagna
il mio sogno è avere dei bambini
il mio sogno...
ma la realtà è realtà..
il sonno è sonno.
e i sogni,
quelli del sonno,
hanno colori diversi.
e non sempre ce li si ricorda,
non sempre ci si sveglia col sorriso.


la casa continua ad esistere.
qualche giorno fa ho fatto le orecchiette. con farina integrale.
è la prima volta che le facevo.
e non sapevo neppure come si facessero.
ho cominciato.
la prima, la seconda e la terza.
non erano orecchiette.
ma poi piano piano ricordi inconsci mi hanno fatto migliorare
e via con le prime orecchiette vere..
a forma di orecchiette per intenderci.
per condirle c'ho fatto il sugo, quello rosso, quello pummarò.
ma non c'era cipolla
e allora via, aglio, due capperi e basilico.
buono,
anche se i contorni instabili delle orecchiette creavano
durezze eterogenee, al limite croccanti.


comincio ad interagire interessato con Romeo, sei mesi.
ci gioco, gli faccio fare ginnastica.
E lui mi sorride,
contento,
senza spiccicar parola, solo mugugni
ma sembro piacerli e quando solo mi vede,
sorride.


ho trapiantato i cavolfiori, i cavoli romani
(quelli che fanno su la spirale verde)
i porri e il radicchio.
Rita e Manuel stanno bene,
scorrazzano liberi per il cortile
beccando l'erba e seguendo chi si avvicina,
in attesa di riso avanzato,
scorze di formaggio,
o quel che passa al covento.


Sono in attesa di feedback dei colloqui sostenuti in azienda.
Credo che sia arrivato il momento di riattivarmi un attimo.
non per pessimismo,
ma semplicemente perchè c'ho voglia di fare,
di cercare.
ormai la condizione di disoccupato mi ha annoiato,
più che altro perchè mi castro,
e se non lavoro non mi sento neppure in diritto di svagarmi.


ieri ho tagliato la legna, con l'accetta. proprio come nei film.
poggi il tronchetto sulla base e zac!
tagli a metà. divertente direi.. e ho capito alcune cose:



che non bisogna metterci troppa forza,
che il peso dell'accetta è sufficiente per il colpo.

che quando il trochetto è duro,
e non si taglia al primo colpo,
tocca dargli un altro paio di botte,
che con il tronchetto incastrato con l'accetta, risultano più forti, le botte,
perchè il peso del tronchetto
rafforza quello dell'accetta.
e il tronchetto, inconsapevolmente aiuta a farsi rompere.

che la forza, come detto, non basta,
e che c'è bisogno di precisione, per rompere il tronco nel mezzo.


 

venerdì 5 settembre 2008

casa ganesha

Arrivato, casa ganesha.
siamo in otto più un bambino di cinque mesi.
si lavano i piatti con la cenere e con acqua
con dentro limone in amollo.
al tramonto si innafia l'orto
e si raccoglie quello che c'è.
c'è un cane,
che azzanna gli sciamani,
rita e manuel, gallina e gallo rispettivamente,
che amano gli spaghetti
e due gatti, uno nero e una biancoerrosso, che tengono lontani i topi

Si taglia la legna, a mano, con la canadese,
per questo inverno, per il camino e la stufa a legna.
in bagno, sotto il lavandino sono stati tolti i tubi.
sotto c'è un secchio, dove casca l'acqua.
perchè? lo scarico scarica troppa acqua,
e per la pipì e decisamente troppo.

non c'è carta igienica, ci si fa il bidè dopo la cacca.
Si cerca di mangiare tutti assieme
di fare la spesa tutta insieme

dalle finestre si vedono i paesini arroccati sulle vette
e i campi, ormai vuoti di spighe mostrano la terra smossa.

I mandorli sono pieni, e anche i prugnoli e i peschi.

la notte si dorme circondati da baldachini di sanzariere.
si giorno ci si bagna la testa appena si può.

e sulle scale si chiacchiera fino a tarda notte.
che fare che non fare.

sono ancora disoccupato.
ma sono ottimista

sabato 23 agosto 2008

AAA

dovrebbe far piacere
sapere quello che si cerca
dopo aver tanto cercato
senza sapere cosa
comunque lo trovai
e spero anche ora
in questa nuova
e trasparente
ricerca
possa trovare quel che so di cercare

un lavoro...


ps. saluti a quelli di parigi, che promisi di salutare ma assenza perpretata di strumenti idonei me lo impedì. saluti inoltre a quel di torino che per identiche cause più non sentì. e saluti a quel di varigotti. a quelli di orbetello. a quelli di roma. a quelli di ancona. a quelli di carpino. a quelli di tra peschici e vieste. a quelli silani. e a quelli tarantini, ma di questi ultimi tuttavia ancora sto qua.

secondo ps. Se qualcuno sa, sappia o seppe
di un lavoro figo, o di un modo figo di trovare un lavoro
che semini consigli
che non sia timido o timida.
tutto è ben accetto... bhe quasi tutto.

che palle

mercoledì 23 luglio 2008

marché de l'aligre

Se è vero che è negli occhi di chi guarda, la percezione di Parigi, ragazzi miei, è davvero serena ed estasiata. Quintali di scenari diversi che si alternano come un pezzo di caparezza dei bei tempi (non è che l'ultimo album mi abbia stupito).


Sarà per il sole caldo che splende imperterrito nel cielo azzurro, sarà per il dolce far nulla del vostro amato viaggiatore fannullone ma questa città, ogni giorno, mi stupisce dolcemente.

IMG_1882Finalmente una città dove davvero convivono popoli e genti e che lasciano, nel loro esistere, tracce definite di passaggi multietnici. Cinesi, arabi, pakistani (o indiani... sinceramente non so), africani descritti dall'immaginario collettivo.. ma chiaramente francesi con il loro genuino istinto nel preservare certe cose (oggi una tizia ma strillato che col rosso non si passa neanche in bicicletta.. e lei era a 6 metri da me) si alternano e convivono in spazi a
pallazzibassi,
parchisparsi
e
fiumicanaliquieti...


IMG_1863Sarà perché qui (cheilsignoresialodato) le biciclette rappresentano un opzione reale e non una scelta rivoluzionaria (lo era anche a sivilla per intenderci) ma poter entrare nel louvre (nella piazze intendo..) con la bici e girare intorno alla piramide a vetri (sepolcro della maddalena a quanto pare) lascia veramente di stucco.


E siccome il vostro beneamato dovrà far pur qualcosa oltre che girare a fannulloneggiare, ieri sono stato al mercato per comprare cibarie varie.. chiaramente in ritardo come di norma, mi ritrovai impietrito ed entusiasta a guardare i mercanti smontare le baracche... ma non solo.
IMG_1859


IMG_1862


..Le immagini che di fronte ai miei occhi si sviluppavano serene erano ben altre...



IMG_1855Un piccolo rendeteviconto per descrivere il mercato. Parliamo del marché d'aligre (che già il nome è tutto un programma) una via con piazza inclusa dove dalla mattina fino alle 2 del pomeriggio vengono montate (e smontate) le bancarelle dei venditori di frutta e verdura. Dietro le bancarelle rimangono comunque i negozietti (sempre di genere alimentari) che rimangono stabili li: pescherie, panifici, alimentari, macellai, che creano una cornice al mercato davvero originale. Nella piazzetta invece si passa al mercato di vestiti usati e di artigianato. Le bancarelle, principalmente, sono gestiti da arabi franceseablanti con frutte esotiche e verdure un po' meno esotiche (badate bene zucchine e melanzane a 1 euro.. ananas interi a 1,50 euria pezzo!!!)


IMG_1858i prezzi in realtà sono da mercato nel senso che arrivando alle 10 del mattino sono in un certo modo altini, ma più passa il tempo più il prezzo cala, fino a che, nell'ora di chiusura si trovano le migliori occasioni con cesti di verdura ad un euro.


Esistono anche bancarelle di francesi, ma chissacom'è i prezzi sono raddoppiati, anche se la presentazione è molto più folkloristica (cesti di vimini e prezzemolosparso su pomodori e fragole).


 


 


 


 


 


 


 
Ma non voglio ammorbarvi con questi racconti, quanto con le immagini del mercato in chiusura. 


Oltre alla merce lasciata in strada impilata pIMG_1857rima di essere messa nei depositi li vicini, la fauna presente e inimmaginabile, principalmente gente che aspetta la chiusura per riempire buste e cestini con prodotti che il giorno dopo sarebbero ormai andati e che vengono lasciate in cassette di frutta alla mercè della gente che passa, clochard, ma non solo. Sinceramente diventa intrigante pensare di rovistare nelle cassette abbandonate alla ricerca del frutto proibito e vi dirò, che quello che si intravedeva non era assolutamente roba marcia o strafatta ma semplicemente non perfetta, e lo sapete bene, ragazzi miei, che la perfezione, senza stress, non è necessaria.


 


 


 


 


 


 


 


Vi lascio qualche immagine, che avrei voluto commentare maggiormente, ma mi sa che mi vado ad aprire un ananas e mangio qualcosa..


IMG_1861

IMG_1865


IMG_1949ps. a proposito essendo ospite della amato amicopadrone che ha casa dietro notredame (afacciaducazz..!), mi sono permesso di comprare un aglio in un negozietto carino li vicino... con risultati fallimentari.. a voi l'ardua sentenza....

lunedì 14 luglio 2008

il profumo è fratello del respiro

ambiguamente ripenso ai contenuti
ansia di raccontare,
ho fatto questo
ho fatto quello


rileggendo,
scorrendo il dito verso sinistra
riguardo a quando
nulla c'era da raccontare
e per questo
dal mio cappello pieno di crini ammutinati
lasciavo fuoriuscire
conigli erranti sotto forma
di architetture linguistiche

o si vive o si scrive
raccontavo anni fa

ma nel viaggio gli occhi
riposano nel sonno

domani si riparte
dopo montagna e mare
vado in città
dove la gente va di fretta
e il riso è quello istantaneo
per insalate frettolose
per chiacchiere ad un tavolo di un  bar


Parigi...
la puzzolente Parigi


"Al tempo di cui parliamo,
nella città regnava un puzzo
a stento immaginabile per noi moderni.
Le strade puzzavano di letame,
i cortili interni di orina,
le trombe delle scale di legno marcio e di sterco di ratti,
le cucine di cavolo andato a male e di grasso di montone,
le stanze non aerate puzzavano di polvere stantia,
le camere da letto di lenzuola bisunte,
dell'umido dei piumini e dell'odore pungente e dolciastro di vasi da notte.
Dai camini veniva puzzo di zolfo,
dalle concerie veniva il puzzo di solventi,
dai macelli puzzo di sangue rappreso.
La gente puzzava di sudore e di vestiti non lavati,
dalle bocche veniva un puzzo di denti guasti,
dagli stomaci un puzzo di cipolla e dai corpi,
quando non erano più tanto giovani,
veniva un puzzo di formaggio vecchio e latte acido e malattie tumorali.
Puzzavano i fiumi,
puzzavano le piazze,
puzzavano le chiese,
c'era puzzo sotto i ponti e nei palazzi.
Il contadino puzzava come il prete,
l'apprendista come la moglie del maestro,
puzzava tutta la nobiltà,
perfino il re puzzava,
puzzava come un animale feroce,
e la regina come una vecchia capra,
sia d'estate sia d'inverno.
Infatti nei diciottesimo secolo
non era stato ancora posto alcun limite all'azione disgregante dei batteri
e così non v’era attività umana,
sia costruttiva sia distruttiva,
o manifestazione di vita in ascesa o in declino,
che non fosse accompagnata dal puzzo.


E naturalmente il puzzo più grande era a Parigi,
perché Parigi era la più grande città della Francia.
E all'interno di Parigi c'era poi un luogo dove il puzzo regnava più che mai infernale,
tra Rue aux Fers e Rue de la Ferronnerie,
e cioè il Cimetière des Jnnocents.
Per ottocento anni
si erano portati qui i morti dell'ospedale Hôtel-Dieu
e delle parrocchie circostanti;
per ottocento anni,
giorno dopo giorno dozzine di cadaveri
erano stati portati qui coi carri e rovesciati in lunghe fosse;
per ottocento anni in cripte e ossari si erano accumulati,
strato su strato,
ossa e ossicini.
E solo più tardi, alla vigilia della Rivoluzione Francese,
quando alcune fosse di cadaveri smottarono pericolosamente
e il puzzo del cimitero straripante
indusse i vicini non più a semplici proteste,
bensì a vere e proprie insurrezioni,
il cimitero fu definitivamente chiuso e abbandonato,
e milioni di ossa e di teschi
furono gettati a palate nelle catacombe di Montmartre,
e al suo posto sorse una piazza con un mercato alimentare."


Patrick Süskind, Il profumo, Longanesi & C.


 

venerdì 4 luglio 2008

imprevisti e probabilità

un po' di informazioni sparse
al fine di piacificare gli animi
dei miei lettori sopravvissuti
alle ultime morie di post


attualmente monopolizzato,
casa della nonna.
dormiente cadette,
(2 costole incrinate costretta nel letto
della serie
potevandarepeggio)
e dopo alcune notti in camera quadrupla
nel ridente ospedale in vicolo corto,
necessitava di nipote infermiere - dama di compagnia - cuoco
in attesa del trasbordo verso tarantismi lidi


per domani,
si necessitava per festa radicalscik in barca
in giro per il diossinico golfo di taranto
di un barista ispanoablante
EPERCHéNNO!
visto che le ormai luttuose casse del profeta
rimbombano di moschini che urtano,
ubriachi
alle pareti dure,
precedentemente ornate di orlazzi lussuriosi e soffici


in data 16 CM
prenotazione a 40 euri
(più sovrapprezzo di euri 3,5 causa mancato pagamento con carta di credito vueling)
(ECCHECCAZZOé??? direte voi... anche io l'ho detto)
per circumnavigazione aerea destino Paris
tour eiffel
notredame
pount du sen
senza ritorno,
nel senso solo andata
con le tasche vuote
(occupate illegalmente da funghi poveraccius afflientus)


a dimenticavo
sabato 12 luglio
colloquio di gruppo
presso gli uffici della banca mediolanum
in taranto
in cerca,
loro,
di commerciali e figure manageriali.
contattato
(i soliti scherzi del destino del cazzo)
causa iscrizione del vostro beneamato
al sito trovalavoro
circa 4 anni fa.
della serie
STATVACCURT!
quando distribuite i vostri
curriculumvita(E)
dopo due giorni dalla laurea
con la strizza di rimanere impantanato nel
profumato e dolce mare del nullafacente
in banca
e per berlusconi
della serie
MENOPERMENOéPIU!!??!
(alla faccia di chi dice che non sto cercando lavororooohh... hi hi hi)

venerdì 27 giugno 2008

ma una comune che cos'è

ecco ...
si... ciao...


ciao a tutti, ero acora in viaggio
in viaggio andante diciamo,
che quando uno viaggia ogni tanto si ferma, ma non smette di viaggiare
sia ben inteso
smette il viaggio andante, e prende il viaggio stanziante... credo


ora sono a taranto
si, come sempre grossa malinconia
lacrimoni dietro gli occhi,
e occhi che quardano la fauna autoctona sorridendo

ora ho il cellulare
e il pc
e penso alla vita che vorrei

non alimentare il mondo che non mi piace
e cercare soluzioni
autoprodotte
autarchiche
autosostentate
con sfondo spirituale, che il materiale non basta più
con aromonia, dialogo e amore


e magari un bel po' di natura

che i pomodori, se non c'hai tanta terra
conviene che li leghi ad una canna che li regge
e li fa arrampicare


che le nocciole, quando cadono su un terreno pieno di erbacce
col cazzo che le trovi

che 20 tronchi lunghi 5 metri, lanciati
di 10 metri in 10 metri
alla fine sembra una partita di shangai per giganti

che una comune in realtà
non significa niente

solo voglia di uscire
il resto,


ognuno decide per se


o meglio


ognuno decida per sé...

lunedì 2 giugno 2008

tornato

di passaggio


ancora in viaggio


ma sono a Roma


ma non provatemi a chiamare


non ho il cellulare


la spagna ormai rimane dove sta


io, continuo a muovermi


 

giovedì 15 maggio 2008

il post più lungo


sono a san beneficio. alpujarra. granada.
un villaggio in un bosco.
doccia alla cascata
notte nel big lodge.
tutto il mondo qui.

e questo è il post più lungo.
mi fermo qua due settimane.
che la naturaleza dicono aiuta a chiarirsi le idee.

vi lascio però quaclosa.
un racconto. scritto a sevilla. questi mesi.
è lungo e diviso per capitoli.
non serve leggerlo tutto d'un botto.
con calma.
la prisa mata.

a presto amici.
a presto


La verdadera istoria del coliseo romano





Ieri notte stavo leggendo Momo. Una gran bella storia. In verità ancora non lo finisco ma mi sta piacendo. Mi piace come dentro la storia ci siano tante altre storielle.
Leggendo una di queste mi sono ricordato di una cosa che mi successe qualche tempo fa. Bene, già ve lo sto dicendo che troverete in comune qualcosa tra la mia storia e quella di Momo, però si sa come sono i racconti.
Che si trasmettono come il polline in primavera. In un racconto potresti trovare alcuni dettagli in comune con un altro. Un personaggio che si somiglia. E c'è chi racconta i racconti di altri e tutti pensano che sia il suo.
Ma si sa, che se si racconta un racconto di altri, in verità non si sta rubando niente. Perché non è tanto importante chi racconta. Ma il racconto che si racconta. E il racconto non può che essere felice che più gente lo racconta. E da lui possono nascere altri infiniti racconti. Che i racconti non se la prendono. Che i racconti non sono capitalisti. Che i racconti sono di tutti e tutti siamo racconti.
E, chiaro, più siamo a raccontare più i racconti sono contenti. Detto questo posso cominciare. Vi racconto quello che mi passò.

Tutti conoscete Roma. Forse è la città più conosciuta al mondo. E altrettanto conosciuto, e praticamente suo simbolo, è il magnifico colosseo.
Questa enorme costruzione parcheggiata al centro della città, che ogni giorno suscita lo stupore di migliaia di persone. Che è vero che quando uno è abituato a una cosa alla fine la da per scontata.
Però il colosseo no. Ho vissuto a Roma quasi sette anni e ogni volta che mi avvicinavo a lui lo sentivo, lo percepivo, e infine lo vedevo, lo guardavo e rimanevo incantato.
Per chi arriva a Roma e vuole vedere il colosseo ci sono un sacco di possibilità: arrivare in metro, uscire dalla stazione e trovarselo davanti.
Prendere un tram, il 3 se non sbaglio, magari partire dal verano, incontrare santa croce in Gerusalemme, san giovanni e infine vederlo apparire al finale della strada.
Tuttavia il modo che io preferisco per incontrare il colosseo, rimane l'andare a piedi. Esistono tante strade, forse infinite strade percorrendo le quali si può vedere il colosseo, stretto tra due palazzi, che pian piano si avvicina e diventa sempre più grande. E ogni strada è diversa e ciò che si può vedere è diverso. Un lato diverso, una faccia nuova, un angolo che prima non avevi notato

In particolare la visione che preferisco, non so in realtà bene il perché, è dal quartiere Monti. Percorrendo via Cavour dalla stazione termini verso via dei fori imperiali, c'è una viuzza che va diretta al colosseo. Non mi ricordo come si chiama, ma percorrendo via Cavour e girando a un certo punto sulla sinistra ti ritrovi di fronte al colosseo.
Qualche passo indietro e si raggiunge una piazzetta incantevole, con una fontana nel centro e una chiesa che si affaccia.
C'è sempre qualcuno nella piazzetta: qualche turista che beve un cappuccino in uno dei suoi bar; un gruppo di bambini con la maglia della Roma che giocano a pallone usando il portone della chiesa come porta; una coppia che si abbraccia su una delle panchine, un gruppo di amici che festeggiano chissacché, bevendo birra e mangiando pizza bianca e supplì.

Quel giorno, era la fine di aprile di qualche anno fa, ero rimasto non so quanti momenti a fissare il colosseo, che in profondità creava una distorsione spaziotemporale davanti ai miei occhi.
Mi ripresi dall'incanto e mi diressi verso i gradoni della fontana, per fumarmi una di quelle sigarette celebrative, che uno fuma per immortalare una di quelle sensazioni che ti caricano di energia. Mi sedetti.
A qualche metro di distanza, sdraiato sui gradini a prendere il sole (erano circa le quattro di pomeriggio e il sole era bello caldo) c'era un vecchio straccione, barbone.. non so. Era li non so da quanto e sembrava dormisse. Mi distrassi dalla sua immagine qualche secondo. Ebbene si alzò, si stiracchio come un vecchio gatto e mi guardò con un sorriso pacifico. Si avvicinò e mi chiese una sigaretta. Rimanemmo qualche minuto in silenzio.
Aveva i capelli mezzi bianchi mezzi neri, ricci che non sembravano essersi incontrati con un pettine da molto tempo. La barba, dello stesso colore, era riccia, ma non crespa, di quelle barbe che non scendono lisce dal mento verso la terra, ma di quelle gonfie, che sembravano crescere in tutte le direzioni.
Non saprei dire che età avesse. Certo la vita di strada si percepiva nelle piaghe del suo viso, talaltro molto abbronzato. Gli occhi erano occhi di vecchio, ma di quei vecchi un po' stanchi ma non tristi, che prendevano la vita con filosofia, per intenderci.
"Ho visto che fissavi il colosseo, è magico non credi?" disse lui sorridendo. Lo guardai. Non avevo molta voglia di parlare con lui, ma i suoi modi erano talmente gradevoli che risposi.
"Embè si, chissa quante ne avrà viste"
"La cosa più strana è che in pochi conoscono la vera storia del colosseo" disse con aria un pochino saccente ma simpatica.
"Beh quale storia? Quella che si può leggere nei libri di storia. Che i romani lo costruirono per intrattenere il popolo con giochi più o meno violenti, più o meno sportivi, un po' come gli stadi di calcio di oggi"
"Scordati quello che hai letto sui libri e che ti hanno raccontato. I romani se lo trovarono già bello e fatto e siccome, si sa, che i romani erano un po' pallonari sparsero la voce che l'avessero costruito loro; ma in verità non fu così" rispose lui con tono sincero.
"E allora? Qual è la vera storia del colosseo? Immagino che tu - e forse tu solo, pensai - la conosci.."

Tanti anni fa, prima dei romani, prima degli etruschi e degli egiziani, prima degli inca e di tutto questo, il mondo era un unico regno. Dove tutti convivevano in pace e nessuno poteva pensare di separalo in continenti, nazioni o cose così. C'era un unico re che aveva il suo palazzo da queste parti, che si preoccupava del benessere di tutto il mondo. Era più o meno come ora e lo so che oggi come oggi risulta assurdo immaginare che un unico re possa governare tutto questo. In realtà non so precisamente come facesse a comunicare e risolvere i problemi dei paesi più lontani. E' certo che viaggiasse moltissimo, ma come viaggiasse, beh neanche questo lo so. Quello che so che in quell'epoca c'era molto meno tecnologia e molta più magia. E tutto si faceva grazie alla magia, agli incantesimi e a queste cose qui, hai presente no? Chiaro, oggi siamo pieni di tecnologia che, probabilmente, permetterebbe tranquillamente a un solo re di governare tutto il mondo: telefono, internet, aerei e elicotteri. Tuttavia prima penso fosse diverso e che forse oggi sarebbe meglio che si cominciasse ad affiancare la magia alla tecnologia, non so, dovrebbero inventare qualcosa come la tecnolomagia!

In quella primavere il vecchio re, amato da tutti per il suo buon cuore dovette andare in pensione. Nonostante avesse molte qualità come uomo, è anche vero che governare tutto il mondo era un lavoro impegnativo e di certo non facile.
Nel mondo, in quel periodo, si viveva più o meno bene. Tuttavia la gente aveva tanta pazienza quanti problemi. Nessuno dava la colpa di questo al re, ma di certo speravano che il prossimo fosse stato un po' più risolutivo e avesse risposto in maniera più utile, alle esigenze del regno.
Il vecchio re aveva un giovane figlio, di quasi sedici anni. Il suo nome era Alfredo. Era un giovane bello e intelligente, sapeva ascoltare ed era stato educato nelle migliori scuole del regno. Inoltre aveva ereditato dal padre la sua bontà d'animo e il suo immenso cuore, cosicché tutti nel mondo avevano grosse aspettative su di lui. Era sveglio e responsabile, ma molto giovane e chiaramente aveva un po' di paura nascosta in vari angoletti del suo corpo. Un po' dietro l'orecchio, un po' sotto la lingua, un po' sopra l'intestino e un po' dentro le ginocchia. Ma nessuno lo notava e nemmeno il padre poteva vederla.

Il giorno della cerimonia con la quale ufficialmente il giovane compiva 16 anni e diveniva re, in tutto il mondo ci furono feste in ogni angolo. In particolare il palazzo del re fu ricoperto di fiori colorati e profumati. I prati furono restaurati dai migliori giardinieri del mondo e c'erano magazzini pieni di petali di tulipani, così tanti che si dovette aspettare un anno intero prima che la gente potesse vedere un tulipano tutto intatto in un prato! I petali cadevano come neve nel bosco d'inverno e non c'era una sola persona che fosse triste quel giorno.


Al palazzo arrivarono invitati da tutti il mondo e di tutti i tipi: principi, pastori, contadini, musicisti, funamboli e di tanto altro ancora. Arrivarono anche molti maghi a salutare il nuovo re e quello vecchio.
In particolare c'era un vecchio mago, con la barba bianchissima e lunghissima che arrivava fino ai piedi, gli occhi semichiusi ma che emanavano una luce tuttintorno. Ora, sai bene che la vita di un mago è molto pericolosa e che spesso con i suoi incantesimi si caccia nei guai. Bene, così era il vecchio mago, e più volte dovette chiedere aiuto al re che gli risolveva ogni problema.
Il mago questo lo ricordava bene e per questo si sentiva in debito con lui. Dopo essere passato ad abbracciare l'ormai vecchio re il mago arrivò dal giovane re, che era seduto sul suo trono gigante senza poter poggiare i piedi al suolo; sorridente ma chiaramente esausto di quella giornata. Erano ore e ore che gli portavano doni e si congratulavano con lui e gli sussurravano consigli. Immaginate il povero Alfredo, nonostante tutto il suo buon cuore non ce la faceva più!
"Salve giovane re" disse il mago a bassa voce, così bassa che il giovane re fece fatica ad ascoltarlo.
"Sono venuto qui per portarti un dono" e dicendo così tirò fuori una scatola di legno rosso, con vari simboli scolpiti sopra e con gli spigoli e la serratura in oro giallo.
"Questo è il flauto delle idee. Quando ti si presenterà un problema prendi il flauto e suona. Ti aiuterà ad avere una ottima idea che lo risolverà" e dicendo così fece per consegnarlo al principe, che in verità era un po' distratto.
"Ricorda però," disse il mago con la mano destra che teneva la scatola che dall'altro lato era tenuta dalla mano del principe "solo tu potrai usarlo. Chiunque altro lo provasse a suonare, beh non riuscirebbe." finì di parlare e lasciò la scatola, che l'Alfredo lanciò in mezzo agli altri regali.
Neanche finì di congedarsi dal mago che lo sguardo già contava quanta gente avrebbe dovuto ricevere prima di poter andare a dormire.

Effettivamente la cerimonia durò per quasi tre giorni interi durante i quali Alfredo non poté chiudere occhio. Quando l'ultimo suddito della fila fu ascoltato il giovane re cadde in un sonno profondo che fu interrotto 3 giorni dopo, quando il vecchio re lo svegliò.
“Padre, come si fa a fare il re?” chiese il giovane appena aprì gli occhi.


"Figlio mio," disse "tutto sta nella la capacità di ascoltare i problemi della gente. E bene, penso che tu sia capace di farlo anche meglio di me. Tuttavia per essere un buon re la prima una cosache dovrai fare è di cominciare a cercare.. a cercare una Regina!"
Chiaro che il giovane re, come detto, era bello e intelligente, e non avrebbe avuto problema a far innamorare chiunque.

Si cominciò allora a cercare la futura regina. È chiaro: la si cercò in tutto il modo. Miliardi di ragazze furono valutate: l'aspetto fisico, chiaro, ma anche l'intelligenza, la creatività e la dolcezza. Alla fine, quella che vinse, era una giovane isolana, che viveva in un'isola in mezzo all'oceano. Tutta la sua tribù ormai si era estinta e con la morte di sua madre qualche tempo prima, era rimasta l'unica sopravvivente del popolo dell'isola. Quando gli esploratori si imbatterono in lei, non ebbero dubbi nello sceglierla. Il suo nome era Estrella. Era bellissima, con grandi occhi neri, capelli scuri come la montagna di notte e talmente ricci che sfuggivano alle leggi della gravità, anche perché ancora nessuno le aveva scoperte. Era molto intelligente, affettuosa e dolce. Solo uno era il suo difetto. Quello che parlava un'altra lingua, che nessun altro al mondo conosceva o parlava.

Le nozze furono celebrate con una grande festa e tutti vollero conoscere la regina. Tutti rimasero incantati dalla sua bellezza, la sua grazia e la sua allegria. Chiaramente quando i due giovani si incontrarono fu amore a prima vista, ed entrambi pensarono, chiaramente in lingue diverse, che l'altro sarebbe stato il suo amore per sempre.
La regina sedeva al fianco del re mentre i sudditi raccontavano i loro problemi. In realtà, come si può immaginare, non capiva granchè perché nessuno riusciva a tradurle le parole. Lei però rimaneva con un sorriso materno e benevolo e la gente, se non lo avessero saputo, mai avrebbe pensato che la regina non stesse capendo un accidente.
Dall'altra parte c'era il re, che invece capiva tutto e soprattutto percepiva la sofferenza della sua gente. Non aveva la minima idea da dove cominciare.
Avrebbe voluto parlare con la Regina, per confrontarsi e non deprimersi, ma questo anche lo sappiamo, la regina non poteva supportarlo in questo.
Stava imparando alcune parole, questo sì, ma la grammatica era molto complicata anche perché la sua lingua madre non ne aveva una; aveva grossi problemi a capire la coniugazione dei verbi, il concetto di passato presente e futuro.
Alfredo era sempre più stanco e demoralizzato e la gente del mondo cominciò a perdere un po' di speranza. Avrebbero continuato ad amare il loro re, chiaro, ma sapevano che non li avrebbe potuto aiutare più di tanto.

Un giorno grigio di pioggia, Alfredo era davvero a terra. Non aveva voglia di alzarsi dal letto e non servivano a niente le carezze della regina e i suoni che provenivano dalle labbra. Era affranto e disperato e si sentiva piuttosto inutile. Non avrebbe mai pensato che la paura lo avrebbe paralizzato così e ormai era uscita dai suoi nascondigli e tutti potevano vederla.
Nelle rughe del suo viso, nel movimento delle sue mani, dalla curva della sua schiena. Però, come si sa, è solo quando si tocca il fonda che si può spiccare il salto. E questo successe quel giorno proprio al nostro Re.
Quando ormai la sua testa era un gomitolo confuso di pensieri, dove si intricavano tutti i problemi che i sudditi avevano raccontato nei giorni precedenti, suonò la campana che avvisava dell'inizio dell'udienza reale.
"Oggi sto male, non ho voglia di ascoltare nessuno, mandateli tutti via" e ficcò la testa sotto il cuscino. Pensò che per nulla al mondo si sarebbe alzato, se non fosse stato per Estrella, che quasi per magia aveva compreso quello che diceva il re. Con gli occhi pieni di buona pietà verso il suo amore triste, sussurrò con profondo accento isolano… "asss-col-taaaa-re…"
Alfredo sorrise e pianse contemporaneamente guardando il suo amore e si ricordò delle parole del vecchio re che aveva regnato per così tanti anni e che non poteva deludere.
Si alzò con le poche forze che gli restavano in corpo. Si vestì. Si infilò la corone e il mantello, e scese nella sala delle udienze.
Come ormai da qualche giorno a quella parte, la stanza era praticamente vuota. La fila che i primi tempi arrivava fino ai giardini di fuori, oggi cominciava e finiva con un solo vecchio mago, che rimaneva li, in piedi al centro della sala.
Il giovane re si rattristò molto, perché pensava che ormai, tra i suoi sudditi, si fosse sparsa la voce: non valeva la pena arrivare fino a lui per cercare la soluzione ai loro problemi. Sarebbe stata fatica sprecata.
Stava per tornare nel suo letto, quando il vecchio mago lo fissò e lui percepì il suo sguardo. Si voltò e si avvicinò a lui.
"Raccontami i tuoi problemi vecchio mago, ma non credere di trovare una soluzione nelle mie parole".
"Non sono qui per cercare soluzioni, ma per darne” rispose il vecchio sorridendo.
Poggiò una mano al vecchio bastone e con l'altra rovistò nella tasca del suo mantello.
"Una soluzione ai miei problemi,magari fosse facile" disse Alfredo depresso..
"Un re triste e affranto, che disgrazia per il suo regno, eppure tu hai tutto, un castello elegante, un mondo di sudditi che sarebbero pronti a fare qualunque cosa per te e la donna più bella e intelligente del mondo"
"Ecco il primo problema. Sebbene sia convinto che parlare con lei sarebbe un grande aiuto per me, non posso farlo, perchè non parla la mia lingua e io non parlo la sua" e così dicendo alzò lo sguardo e vide sulle scale la regina che poggiava il viso sopra i palmi con sguardo dolce.
Il mago sorridendo da un lato della bocca, si voltò verso di lei e le fece cenno di avvicinarsi. Estrella, che era straniera ma non stupida, capì il gesto e si avvicinò lentamente con sguardo curioso.
"Con questa polvere guadagnerete un po' di tempo" dicendo così, si mise di fronte alla bella isolana e tirò fuori la lingua. Estrella, capì al volo e con totale fiducia, di quella che solo la gente che vive su un'isola sa dare, tirò fuori la lingua. Il mago sorrise e immerse la mano in un sacchetto di cuoio. Poi, come quando si mette il sale sull'insalata e ti manca la saliera, lasciò cadere una ditata di polvere sulla lingua della giovane Regina.
Non successe niente, sennò che seguirono alcuni istanti di silenzio durante il quale nessuno apriva bocca. La stanza delle udienze, già vuota, era talmente silenziosa che il silenzio faceva eco e duplicava di intensità.
Alfredo guardava perplesso e curioso la scena. Tuttavia la paura quella volta non apparì e rimase a guardare la giovane isolana.
Estrella stava li con gli occhi chiusi con la testa un pochino reclinata all'indietro. Se avesse avuto gli occhi aperti si sarebbe potuto dire che stesse guardando al cielo. Il vecchio mago, mirava con occhio divertito la giovane e, in realtà, in quel momento, fu davvero convinto, guardando il viso dei due, che l'amore tra giovani sarebbe stato eterno.
"Quindi?" chiese a un certo punto il giovane re.
Il silenzio sembrava ritornare quando la giovane Regina pronunciò le seguenti parole:
"sa' di fragola…" mantenendo gli occhi chiusi. Il mago sorrise.
"Come hai detto?" chiese il re confuso. La regina non rispose nulla. Aprì gli occhi e guardò quelli del re.
"Un altro po' di pazienza"disse il mago inclinando la testa da un lato. La principessa piegò la testa da un lato dicendo "così?".
Il mago spolverò un po' di polvere nell'orecchio della principessa.
Ora la principessa avrebbe potuto anche capire e non solo parlare correttamente la lingua del suo re.

I tre conversavano amabilmente intorno a un tavolo rotondo in una piccola sala al lato della cucina, bevendo té.
La principessa partecipava al discorso e spesso interveniva esponendo la sua idea. La polvere funzionava e il mago si dimostro essere un vero mago.
"Rimane un problema" disse a un certo punto il mago.
"Quale?"
"I problemi dei tuoi sudditi.." suggerì Estrella.
"..e la tua capacità di ascoltare!" aggiunse il mago ricordandogli il loro primo incontro.
Egli, era il mago amico del padre. Quello che regalò il flauto delle idee. Il giovane Re si ricordò in un attimo di lui e si rese conto che effettivamente mai aveva usato il flauto e, peggio, non si ricordava dove lo avesse messo. Ma in un attimo la regina sparì e dopo alcuni momenti riapparì con in mano la scatola del flauto.
"Credo che non funzioni. Nella mia isola avevamo un flauto molto simile e un giorno provai a suonare ma non funziona". E' chiaro che la Regina dicendo tutto questo non aveva messo da parte il suo accento, che tuttavia rendeva grazioso e amabile il suo modo di esprimersi.
"Solo Alfredo lo può utilizzare! " e dicendo così, il mago salutò la regina con un elegante inchino e il re con un cenno con la mano che reggeva il bastone. Si allontanò e dopo qualche istante sparì. Da quel giorno nessuno lo vide più.

I giorni successivi per Alfredo e Estrella furono giorni indimenticabili.
Alfredo aveva anche ripreso ad incontrare i suoi sudditi. I suoi sudditi trovarono un re diverso, che anche se non sapeva come risolvere il problema, distribuiva fiducia alla gente che ricominciò a ritrovare speranza. Ancora non usava il flauto. Ma ormai si sentiva pronto per farlo.

Il flauto era un semplice tubo nero con dei buchi. La giovane isolana, un giorno, quando erano soli nella camera da letto si accostò a lui e portava con se la scatola. La aprirono e dopo aver ammirato il contenuto, la regina lo prese in mano. Provò a suonare ma non usciva nessuna nota. Lo posò al re che lo avvicinò alla bocca.
"Soffia, " disse Estrella " e tieni coperti i buchi". Fiuuuuuuuuuuù! Suonò il flauto. In realtà più che un suono sembrava un urlo di un mulo. Subito al re gli venne una buona idea e soffio lentamente. Poi cominciò a muovere le dita. Dopo qualche minuto già sapeva suonare alcune melodie. Suonando imparava a suonare, grazie alle idee che il flauto gli offriva.
Si concentrò e cominciò a pensare ai problemi della gente. Poi si mise a suonare. Corse nel giardino tirando dietro la regina. Prima prese una mela e una arancia e cominciò a urtarle. Poi prese due pietre e fece lo stesso. Infine raccolse due rami e cominciò a strofinarli, fino a che non cominciò ad uscire fumo.
Inventò così il fuoco, cosicchè i suoi sudditi potevano riscaldarsi e illuminare l'oscurità. Subito dopo cominciò a lavorare, in uno dei magazzini, costruendo cose.
Un giorno inventò la ruota e con questa i carri. I sudditi di tutto il mondo si rallegrarono e fecero feste in onore del re.

Quando si venne a sapere che il giovane re risolveva i problemi della gente, la corte fu invasa dalla gente che portava con se qualunque problema.
Alfredo un giorno chiamò alcuni giovani che avrebbero dovuto diffondere per il mondo le sue idee. Anche questa fu un'idea che arrivò suonando il flauto. Così facendo inventò la scuola.
Il mondo in questo modo migliorava molto rapidamente e tutti i paesi avevano le stesse opportunità. La gente era molto contenta. Il re era soddisfatto di sé e la regina amava sempre di più Alfredo.

Alfredo ormai non era più un giovane re. Sì, continuava ad essere giovane e non era passato più di qualche anno da quando suo padre gli aveva lasciato il regno. Ora appariva esperto, maturo e anche nel suo aspetto fisico era diventato più uomo.
E un giorno, arrivò la cosa che gli mancava.. un erede.
Estrella gli donò un figlio, Mordechaj, bello e pieno di salute. Quando poteva Alfredo andava a giocare con lui e rimaneva ore in estasi di fronte a quella piccola creatura. Continuava ad essere un ottimo re e l'esperienza di avere un figlio gli regalò ancora più sensibilità.

Quando il principe Mordechaj crebbe il re cominciò a parlargli e a rispondere alle sue domande. Anche la regina parlava con lui e cominciò anche ad insegnarli la lingua dell'isola.
Il bimbo cresceva rapidamente: curioso, vivace e divertente, come solo i bambini sanno esserlo. Imparò a leggere e scrivere, a cantare e suonare, andava a cavallo e spesso Alfredo lo portava con se e con Estrella nei suoi viaggi per incontrare i suoi sudditi.
Il mondo progrediva rapidamente ed era raro incontrare una qualsiasi parte con fame o guerre. In verità la guerra non esisteva (e perché avrebbe


dovuto) e tutti i paesi del mondo condividevano e compartivano quel che avevano con tutti. Probabilmente quello ero il meglio che il mondo avesse mai avuto

Non che Alfredo fosse stanco, ma cominciava a pensare che nel giro di qualche anno, avrebbe dovuto lasciare il suo regno al figlio. Era convinto che Mordechaj sarebbe stato un ottimo re, ma allo stesso tempo sapeva che senza il flauto non sarebbe stato lo stesso.
Alfredo, che si sapeva ascoltare ma a volte si distraeva e non prestava attenzione a tutto ciò che gli si diceva, un giorno pensò di far provare al figlio il suo strumento magico.
Quando Mordechaj provò a soffiare nel flauto non uscì una sola nota. E Alfredo provò e riprovò ma non era questione di tecnica, ma di magia, e con la magia, si sa, non si può far molto.

Il re si rese conto che una volta morto, il mondo sarebbe tornato come era prima. Tutti avrebbero continuato a vivere ma i problemi si sarebbero accumulati e, come successe a lui, anche Mordechaj si sarebbe scontrato con la frustrazione di non poter aiutare i suoi sudditi.
Ne parlò anche con Estrella che non capì bene il motivo dei pensieri del Re. Per lei era normale che le cose passassero con il tempo e che non c'è niente che sia per sempre. Come le stagioni che si succedevano e mai erano uguali, anche i re avevano lo stesso destino. In realtà la regina, che non era abituata a pensare in termini di mondo e di sudditi, cercò di tranquillizzare il re, ponendo fiducia nelle sole capacità del figlio.
Alfredo, incominciò a suonare il flauto. Questa volta però non per risolvere i problemi dei suoi sudditi, ma per risolvere il suo problema. Come fare per rendere eterno il potere del flauto, sapendo che lui, da li a poco, non avrebbe potuto più suonarlo.
E suonò, suonò, e in tutto il castello si sentirono le preziose melodie del flauto per giorni e giorni, senza che smettesse un attimo.
Estrella si cominciò a preoccupare, e Mordechaj era dispiaciuto di non poter più giocare con suo padre.

Fino a che arrivò un giorno che il flauto smise di suonare. Il re uscì dalla sua camera dei pensieri. Aveva il viso stravolto, gli occhi stanchi ma pieni di illusione e la barba che incorniciava la sua bocca sorridente.
Quando lo vide la regina, si rese conto che il re era cambiato, che il sorriso non era di un re felice, piuttosto era un ghigno che, sommato allo sguardo, mostrarano un re in cammino verso destinazioni ignote.
"Estrella, ho capito come fare, ho trovato la soluzione, il flauto ancora una volta mi ha fornito la soluzione ai miei problemi"
La regina lo guardò e subito la paura si impadronì di lei, perché immaginava che la soluzione in realtà non avrebbe portato nulla di buono.
"Se solo io posso suonare il flauto, e voglio che il flauto suoni per sempre, non devo far altro che cercare l'immortalità!"
La regina si mise a ridere, ma una di quelle risate nervose, secche che non riempiono l'ambiente di allegria quanto di perplessità.
"Amore mio, e come credi di poter essere immortale? Niente al mondo è immortale, tutto, prima o poi si conclude. Tutti gli animali alla fine muoiono, tutte le piante alla fine seccano, tutti i fuochi, alla fine, si spengono."
"Si lo so. Però c'è qualcuno che è immortale. Che mai e poi mai finirà di esistere"
"Chi?" chiese questa volta curiosa la Regina
"Solo uno…. DIO!" La regina lo guardò sempre più perplessa e preoccupata. Nella sua isola non esisteva un solo dio, ma molti dei, e aveva imparato da poco a pensare a Dio come una cosa singola.
Ma come pensava, il re, di paragonarsi a dio, e come avrebbe potuto fare per essere dio.
"Ma dio è immortale semplicemente perché ha creato il mondo e tutto ciò che c'è sopra.."



"Esattamente!" rispose agitato il re, che ormai appariva quasi irriconoscibile "Esattamente!.. non devo far altro che creare un'altra terra, del tutta identica a questa e dove io sarò il nuovo dio e di conseguenza potrò regnare in eterno!!!"

Estrella rimase alcuni giorni da sola, a piangere e a disperarsi. Cosa era successo al re? Perché si comportava così. Era forse impazzito? In realtà non si era resa conto che la paura, che per molti anni era rimasta nascosta dentro al re, era ritornata in lui e, senza che apparisse esplicitamente, aveva guidato al re verso quella direzione.
Il re chiamò nel suo regno un mucchio di persone, che lo avrebbero dovuto aiutare a costruire il nuovo mondo: muratori, falegnami, idraulici, contadini, ma anche maghi e streghe. Rimasero a parlare per giorni e giorni nella sua stanza delle riunioni e spesso, o meglio quasi sempre, si sentiva il flauto suonare.
Le melodie però non erano più quelle di prima, dolci e rilassanti, ma si facevano sempre più rapide e confuse a volte inascoltabili.
Dopo circa un mese si riaprirono le porte e uscì tutta la gente. Il viso di quelli che uscivano somigliavano molto a quello del re: Estrella pensò che non fosse stato prodotto nulla di buono in quella riunione. Quando il re uscì convocò gli stati generali per comunicare le sue intenzioni.
Chiaro che, tutti i sudditi furono molto contenti delle parole del Re, sia perché con tutto il bene che aveva fatto, non potevano che fidarsi di lui e sia perché tutti volevano che per sempre lui sarebbe stato il loro re.
La prima cosa da fare era costruire una pedana, una pedana gigante, dove avrebbero poggiato il nuovo mondo. Una pedana circolare, in pietra che avrebbe dovuto durare in eterno, come il re.
Ebbene, la pedana in questione fu costruita ed eccolo lì, il colosseo che ancora oggi rimane in piedi!
Dopodiché si cominciò a costruire il nuovo mondo che doveva essere del tutto uguale a quello vecchio, di modo che nessuno si sarebbe potuto lamentare che il nuovo mondo fosse peggio del primo. La stessa grandezza, gli stessi mari, gli stessi fiumi, le stesse montagne.

Pietra dopo pietra, pezzo dopo pezzo, il nuovo mondo cominciava a diventare sempre più grande. I muratori ricreavano le montagne e le grotte, gli idraulici i fiumi, i falegnami gli alberi e i contadini i campi. È chiaro che per ricostruire il mondo c'era bisogno di materiali e che i materiali provenivano dal vecchio mondo.
Tanto più grande diventava il nuovo mondo tanto più piccolo diventava il vecchio mondo. La gente si cominciò a trasferire nel nuovo mondo che effettivamente risultava essere identico al precedente. Pietra dopo pietra, pezzo dopo pezzo, ormai il nuovo mondo era più grande del vecchio e la gente che vi abitava era ormai la maggioranza.
Il re rimaneva ore e ore a guardare il lavori e quanto sorgeva qualche problema suonava il suo flauto e lo risolveva. Passarono giorni, mesi, stagioni e anni e, alla fine, fu tolta l'ultima pietra dal vecchio mondo per completare il nuovo mondo.
Alcune cose erano diverse. Siccome il nuovo mondo era del tutto speculare al vecchio, la terra girava dalla parte contraria e più di qualcuno soffriva il mal di mare per questo.
Il sole sorgeva dall'altro lato e quando doveva essere giorno era notte e viceversa. Ma si sa che l'essere umano si adatta a tutto e ben presto tutti si dimenticarono del vecchio mondo.
Ci fu una festa di inaugurazione senza precedenti tutti erano felici e contenti.. Tutti, tranne la regina, che sapeva che prima o poi sarebbe successo qualcosa di negativo

Da quando il vecchio mondo non esisteva più, il re Alfredo aveva cambiato atteggiamento. Passava quasi tutti i giorni suonando il flauto, ma in realtà la gente non aveva grossi problemi.
La sala delle udienze ormai era sempre vuota e solo a volte la regina e il principe aspettavano invano qualcuno.
Il re non pensava più ai suoi sudditi che ormai si consideravano soddisfatti, ma pensava al suo mondo, cercando sempre qualcosa di nuovo per migliorarlo. Comincio a inventare cose che nessuno dei suoi sudditi aveva chiesto e quando il re le consegnava spesso nessuno capiva a cosa servissero quelle cose.
Prima cosa inventò l'orologio che scandiva oggettivamente il passare del tempo. Convocava riunioni a orari specifici e quando tutti erano seduti puntuali alla tavola nessuno parlava e così tornavano tutti a casa.
La gente, che era abituata a guardare il cielo per sapere se fosse ora di tornare a casa o di svegliarsi, cominciò a tenere la testa bassa, chiedendosi continuamente che ore fosse.
Subito dopo inventò il calendario e obbligò la gente, la domenica, a riposarsi. Prima la gente quando era stanca si riposava e quando c'aveva voglia o necessità di lavorare lo faceva.
Furono inventati i giorni di festa. In realtà anche prima si facevano le feste: durante la luna piena, quando c'era il raccolto, alla vendemmia… ora invece c'erano dei giorni prefissati e così, anche se il grano ancora non era maturo e nessuno lo raccoglieva, si festeggiava, e il giorno della raccolta invece passava come tutti gli altri giorni dell'anno.


Il re poi introdusse prima il baratto e poi, visto che la gente non riusciva a capire la necessità di ottenere in cambio qualcosa senza averne bisogno, invento il denaro, così quando avessero avuto bisogno avrebbero potuto comprare quello che serviva.
E' chiaro che la gente, anche se inizialmente non capivano l'utilità di queste invenzioni, le adottavano confidando nel re. Il re dall'altra parte si faceva vedere sempre meno fino a che, chiuso nel sua stanza del pensiero, vi rimase per quasi 5 anni, senza far mai entrare nessuno. Senza mangiare ne bere.
La regina dopo che, ogni giorno provava a incontrare il re, dopo 5 anni chiamò alcuni uomini e entrò a forza nella stanza.

Il re era pallido ma la sua pelle era liscia. Sembrava che il tempo non avesse lasciato tracce sul suo viso. La regina, vedendolo, si rese conto che era identico a quando lo aveva lasciato, mentre lei, mantenendo sempre un viso grazioso, aveva i segni, quasi impercettibili, dei 5 anni passati.
Il re che non appariva contrariato, era in mezzo a montagne di fogli con sopra disegni di congegni strani. Gli stessi erano, costruiti e reali, allineati su uno scaffale alto quanto il soffitto.
Guardò la regina con un sorriso e si ricordò dei bei tempi quando il nuovo mondo era ancora una melodia non suonata.
"Come stai mia regina?" disse Alfredo con voce bassa."Quanto è che non ci vediamo? Saranno anni.." e così dicendo prese una strana sfera che immobile poggiava su una mensola. Sorridendo disse "sono 5 anni…"; la regina rimase in silenzio, come i primi tempi, ma questa volta era perché non sapeva davvero che dire.
"Ora mi devi scusare, ma c'ho da fare. Sto inventando internet." e dicendo così disegnò con una matita, che nessuno aveva visto prima perché ancora non esisteva, uno strano simbolo come una spirale chiusa. che un paio di millenni dopo tutti avrebbero usato per inviare e-mail. Poi aggiunse "c'è ancora molto da inventare per il mio mondo".
Tutti uscirono fuorché la regina e un ragazzo di quasi 15 anni che era un po' più indietro. Dopo qualche minuto il re alzò gli occhi che si posarono sul giovane.
"E chi è questo giovanotto, non dirmi che c'è ancora qualcuno che ha qualche problema che già non ho risolto." non vedendo la reazione del giovane aggiunse "parla non aver paura; lo so che ora ti sembra strano poter parlare col re in persona dei tuoi problemi, ma alcuni anni fa, quando ancora gli uomini avevano problemi, venivano spesso a parlare con me. Dunque, coraggio e dimmi. Ti ascolto." E dicendo così posò la matita sulla tavola e lo guardò con occhi benevoli.
"Ho perso mio padre e avrei bisogno di lui."
"Non ti preoccupare, pensavo che ancora non ce ne fosse bisogno ma ho già inventato più soluzioni a questo problema. Scegli: adozione o orfanotrofio?"
Il giovane, che già si è capito chi fosse, lo guardò come se stesse guardando un matto. Non capiva quello che il re diceva. Alfredo percepì la perplessità del giovane e fece una piccola risatina. "Scusami. Non hai la più pallida idea di quello che ti sto dicendo vero? Ma non c'è nessuno che si voglia prendere cura di te?" dicendo così guardò la regina, che ormai aveva gli occhi pieni di lacrime.
"Che succede amore mio?" poi guardò di nuovo Mordechaj e finalmente lo riconobbe: era suo figlio e lui stesso era il padre che aveva perduto.
A quel punto, in un attimo, smesse di essere dio e ritornò ad essere il vecchio Alfredo.
"Figlio Mio!" disse e corse ad abbracciarlo.
"Perdonami Mordechaj, mi ero concentrato sulle mie creazioni e mi sono dimenticato di quella più importante: mio figlio! perdonami!"
Fu così che si ritrovavano nuovamente tutti e tre insieme, abbracciati e in lacrime.
"Basta! Questo flauto mi ha fatto diventare matto! " e dicendo così prese il flauto lo ripose nella scatola e lo conservò sulla mensola. Poi, insieme alla sua famiglia uscì e chiuse a chiave la stanza.
"Ora devo pensare un po' a voi, che siete la cosa più preziosa che ho!"
Il re ritornò a farsi vedere in giro, in compagnia della sua famiglia e viaggiava per tutti i lati del regno per rincontrare i suoi sudditi.
Il mondo che vide però era diverso, più efficiente più puntuale, ma aveva perso qualcosa. La gente era più individualista e grazie all'orologio e ai soldi non cera più bisogno di fermarsi a parlare con gli altri. Quando ce n'era bisogno ci si dava un appuntamento, si risolveva la conversazione e ci si salutava.
Anche le feste, ormai imprigionate in date fisse, erano diverse. La gente si ritrovava a far baldoria anche non avendoci voglia. Quando qualcuno ne aveva voglia, per strada, tutti andavano di corsa e nessuno si fermava a bere un bicchiere. Non era mica un giorno di festa!!
Il culmine fu quando, fermando la gente per strada, nessuno lo riconosceva, e quando diceva che lui era il re la gente rideva "e che ci farebbe il re da queste parti? Lui è indaffarato con le sue invenzioni nel suo palazzo, non perderebbe mai il suo tempo a parlare con la gente per strada!"
Il re si immalinconì e non seppe cosa fare. Avrebbe potuto suonare il suo flauto ma ormai aveva deciso che non l'avrebbe più fatto. Per fortuna aveva ancora la sua famiglia che lo amava.
Quello però di cui si rese conto qualche anno più tardi fu che, se per loro il tempo passava, per lui tutto era fermo da quando era diventato dio.
E fu così che qualche anno dopo la regina morì, serena, di vecchiaia, e molto più tardi anche suo figlio. Fu così che si ritrovò solo.

Passava tutto il giorno seduto sul suo trono senza vedere nessuno. Il castello, da fuori, sembrava abbandonato. I vecchi servitori erano ormai tutti morti e lui non li aveva sostituiti. Passava i suoi giorni in silenzio e si era fatto crescere la barba. Quando andava in giro per i villaggi, alcuni dei quali ormai erano diventati vere e proprie città, la gente lo confondeva per un barbone e gli offriva l'elemosina.
Quello di cui però si rese conto era che i problemi, nel suo regno, erano riapparsi. Visto che il re non si faceva più sentire ("non sarà mica morto il re?" diceva qualcuno "chi?" rispondeva qualcun altro) ci si cominciò a organizzare diversamente, dividendo il mondo e assegnando il governo a diverse persone.
Fu così che un giorno entrò nella camera dei pensieri e prese il suo flauto.

Lo suonò per l'ultima volta, quasi disperato per sapere che fare per risolvere il suo problema. Dopo qualche minuto si arrestò di colpo e una vecchia luce brillò nei suoi occhi. Prese dallo scaffale alcuni candelotti di dinamite, che aveva inventato qualche anno prima e andò diretto alla pedana rovesciata che ormai appariva abbandonata e infestata di piante e muschio. Purtroppo la dinamite non era sufficiente per distruggerla, ma l'esplosione ne demolì un lato, in modo che mai più nessuno avrebbe potuto usarla per costruire un altro mondo. Raccolse poche cose dal castello e le mise in un sacco. Chiuse il portone, si voltò e se ne andò, vagabondando per il mondo che lui stesso aveva creato ma che ora non era più il suo.

Finendo la storia, mi resi conto che il sole ormai stava tramontando. Era quasi buio e i lampioni si erano accesi qualche minuto prima.
Il narratore della storia non sembrava aspettarsi una mia reazione e stava, con gli occhi chiusi e sorridendo.
Io rimasi per qualche istante a pensare ad Alfredo e Estrella e ai due mondi.
"Quindi se ho capito bene dove siamo ora non è la terra originale ma la copia costruita da Alfredo…"
"Esattamente" sussurrò il vecchio sempre con gli occhi chiusi.
"Che fantasia" dissi sorridendo ripensando al racconto
"Non è fantasia.. è la verità!"
"E pensi che io ci creda?"
"Come preferisci.. questa è la storia non so che altro dirti" e dicendo così si alzò mi salutò e se ne andò, chiaramente dopo avermi chiesto un'altra sigaretta, che mi sentì obbligato a offrirgli. In fondo quello era un bel racconto e sperando di ricordarmelo tutto, lo avrei raccontato ai miei amici.

Guardai il vecchio barbone allontanarsi e lo fissai, finché qualcuno non mi tocco la spalla. Era Alessandro, il mio amico bibliotecario, con il quale mi ero messo d’accordo per incontrarci quella sera. Gli raccontai quello che mi era successo e lui scosse le spalle "tutti tu li trovi i matti" mi disse e in fondo aveva ragione.
Poi si voltò e raccolse dietro di se una sacca.
"È tua questa borsa?" mi chiese. Era vecchia e rappezzata alla buona e mi resi conto che poteva essere la borsa del vecchio, che ormai era lontano.
"Credo che sia del barbone di prima" e dicendo così la presi in mano e mi resi conto che dentro c'era qualcosa di rigido. Infilai la mano e tirai fuori una scatola di legno con le decorazioni in un metallo ormai arrugginito. Anche la serratura era piuttosto messa male e ormai il metallo e la ruggine avevano bloccato il meccanismo. Non so perché ma lo forzai e la serratura saltò.
"Non mi sembra che sia corretto quello che stai facendo" disse Alessandro.
Quasi non lo sentì e la aprì. Dentro c'era un flauto, di quelli antichi, senza particolari decorazioni.
"Vediamo se funziona" mi disse l'amico. Lo prese e lo porto alla bocca. Fece per soffiare ma non usci alcun suono. Ci riprovò, ma niente. "No.. non serve a niente.. "
Guardai il flauto e un brivido mi scosse tutto il corpo



martedì 13 maggio 2008

penultimo post

ho in mente di andare via.
il tempo, nonostante sia amico,
mi sussurra ironiche minacce.


una nuova tappa,
per un viaggio che non inizio poco tempo fa.
una tappa che sempre lo fu,


urge movimento
urge assenza di equilibro
urge nuova area
urge, senza impegno

vi lascerò qualcosa,
in qualche momento,
per passare oltre la mia
futura,
prolungata,
assenza.


(ps in realtà il posta che volevo scrivere era un altro... ma mi si è cancellato... accontentatevi)


 

sabato 10 maggio 2008

carta

che a volte, prima o poi, il tempo che passa  ti pone di fronte a delle scelte.


Ti pone domande.


E non sono quelle domande che, volendo, puoi fare a meno di rispondere.


Sono domande che esigono.


Domande che ti pone il tempo, questo si,


ma quando te le pone, usa la tua voce.


Non proprio la voce con la quale parli. Ma la voce del pensiero.


La voce che senti quando pensi.


Una voce senza suono.


Ma che sai che è la tua.


 


Sono domande che puoi ignorare, inizialmente.


Poi sorridere,


senza, tuttavia,


 rispondere.


Poi possono emozionare,


impaurirti,


portarti col pensiero al di là di quel che il destino,


qualunque esso sia,


pensi sappia già.


E puoi continuare a non rispondere.


Ma più il tempo passa, più quella domanda, quando meno te lo aspetti, viene fuori.


E quello stesso destino, ironico,


di un'ironia che non ti può lasciare indifferente,


si prende gioco di te, lasciando che i tuoi occhi, senza volerlo,


si fissino su quella scritta;


che le tue orecchie percepiscono una parola;


i ricordi, per uno strano gioco,


una notte insonne ti ci riportano, lentamente, dolcemente.



E non serve orologio,


non serve calendario,


per misurare il tempo che passa.


Perche il tempo è fermo, aspettando la tua risposta.


E tutto il resto sono solo distrazioni.


Creare. Distruggere.


E lui, in silenzio è li che aspetta.


 


È chiaro, ormai, qual è la questione.


Tutti l'hanno già capita.


Rischiare o continuare a seguire i cartelli che,


rigorosi,


indicano la tua, auspicata, direzione.


Ora, sapendo come sei fatta o come sei fatto,


già so che in te, il dubbio, neanche si pone.


Come non se lo pone nessuno.


È che però tutti, o la maggior parte, sceglie, nel bivio, l'altra parte.


Che non so quale sia quella giusta o quella sbagliata.


O meglio, come sempre,


dipende...


 


E arriva il momento della risposta.


Un gesto. Una parola. E la scelta è ormai definitiva.


E crolla, repentinamente, l'altra opzione.


E i residui, da essa lasciati, rimarranno li, per i posteri, affinché possano ricordare.


Saranno sensi di colpa.


Pentimento.


Ma anche no. A volte orgoglio.


A volte "per fortuna che ho deciso così"

mercoledì 7 maggio 2008

la peña del puma

la plaza del pumarejo (che non si legge pumareio ma pumareco, con una c catarrosa)
sta in mezzo tra la macarena, il barrio dove vivo e l'alameda, un'altra piazza, quella dei frikettoni, per intenderci.
in realta, con l'allargamento del centro
(che le case che prima erano popolari ora sono residenze per gente ricca e così la gente è trasportata fuorifuori, della serie ogni mondo è paese)
il pumarejo comincia a essere una vittima appetibile.
il problema
(o la soluzione, dipende dai punti di vista)
 è che un giorno la gente di qua si è preso un edificio disabitato,
l'ha occupato, e comincia a fare attività culturale,
per dire ai vari decisori di turno, non rompeteci il cazzo che coi vostri soldi ci puliamo il culo.


bene,
la piazza del pumarejo è a forma quadrata,
ci si affacciano 3 bar sui lati larghi e in un lato stretto c'è un centro de salud.
sull'altro lato stretto c'è un negozio,
che sinceramente non so che cosa venda, visto che quando ci vado io è sempre ora di chiusura.


su uno dei due lati lunghi, dove c'è un solo bar, c'è il centro vecinal,
di cui sopra,
che è come uno spazio dove le persone che lo gestiscono fanno attività di vario genere.
il giovedi sera per esempio c'è la peña del puma,
dove bambini ragazzi giovani e adulti suonano cantano e ballano flamenco.
flamenco semplice, alternativo, allegro.
In realtà sevilla è piena di locali dove fanno flamenco,
vedi la carboneria per esempio,
però è il flamenco classico, quello per guiri
(vedi post precedente),
e dove la birra cosa 1,5 euro, mentre nel puma cosa 1 euro
(anche se a volte il frigorifero da appartamento non riesce a garantire che siano sempre fredde...
ma va bene uguale, c'è sempre il tinto di verano per le emergenze).


la cosa ancora più bella è che il giovedì si riunisce tutta una tipologia di fauna super variegata:
bambini che giocana a palla con la maglia del betis,
gente seduta ai tavoli dei bar bevendo birra e mangiando tapas varie
(serranitos, calamares, caracoles o croquetas) 
gente sedute per terra sui gradini o dove capita bevendo birra
(in questo caso però rigorosamente birre da litro, a 1,5 euri comprate nei bar un po' più nascosti),
cani vari che corrono abbaiano e fanno i cani
e infine la moltitudine vagabonda sevillana,
che li si riunisce e sempre trova qualcosa di cui parlare.


se qualcuno mi cerca,
già lo sa che il giovedi sto li,
prima bevendo litrona fino alle 10.30,
e dentro al centro vecinal,
seduto sulle scalette che portano al patio
con un sorriso grande come la luna nuova e gli occhi brillanti di emozione.
che il flamenco, ragazzi,
il flamenco del pumarejo,
è davvero qualcosa di prezioso 




[non sono riuscito a trovare un video delpumarejo,
ma la gente che appare qui, sono alcuni che ballano lì..
considerate che questo è la versione "spettacolo di strada per turisti".......]

giovedì 24 aprile 2008

analisi antropologiche del parco

giornata meravigliosa
tanta allegria in casa
tanta energia
che rimbalzava
a destra e a sinistra.


Fuori sole ma tanto sole. un sole forte fortissimo. bellissimo. Mattina sveglio, [a proposito cambio di stanza. quella di ora già l'adoro] guardo la mia nuova stanza e sorrido. caffe. succo d'arancia spremuto fresco. recupero la blanquita la mia bici per i viaggi lunghi. La ruota di dietro barcolla e qualche raggio è saltato. ha passato la nottata sulla terrazza. c'erano già 4 bici nel salone. la prendo. una carezza. poi esco dalla porta me la carico sulla a spalla e giu.


mi avvicino dove ho la mia officina di fiducia. calle feria. Il gioved¡ c'è un mercatino delle pulci in calle feria [calle feria: calle significa via come via dante via cesare battisti; feria è come una fiera ma basicamente festaiola dove la gente si ubriaca. Famosa è la feria de abril, qui in sevilla di cui già vi accennai - e qui ci dovrebbe essere un link che porta al post dove parlo della feria però non c'ho voglia di metterlo-]
dove la gente, principalmente zingari vecchietti barboni, ma anche librai, antiquari, spacciatori, mette la sua roba per terra e chi passa può comprare. bueno io non c'ho trovato niente che mi servisse ma ho visto uno che comprava qualcosa.


Arrivo alla officina. la scritta rossa RECICLO su sfondo verde mi dice che sono arrivato. Il ragazzo che aggiustava la bici, che non so come si chiama ma lo chiameremo "il ragazzo che aggiustava la bici", stava giusto salutando una cliente dai chiari lineameni orientali che si portava a casa la sua bici guarita.


Mi chiede 10 euro il ragazzo che aggiustava la bici, ma aggiunge che me la rende lunedi e in verita`per un po' la bici puo andare. controllo nella tasca e i 45 centesimi non rappresentavano un buon auspicio per per aggiustare la bici. lo salutai e tornai a casa.


In realta dopodomani arriva Fabio, e volevo fargli fare un giro in bici per sevilla che è una cosa superiore.
lascio la blanquita sulla terrazza. scendo al locutorio per provare a chiamare Fabio, ma il cellulare è spento. controllo su internet se mi ha scritto qualcosa. niente. faccio un giro per qualche minuto. 22 minuti, 50 centesimi, mi dice tierno, con la sua voce da senegalese ispanoablante e i suoi occhietti da bimbo triste. Parlo un po' con un altro uomo nero che attacca bottone e ci complimentiamo a vicenda per il livello di spagnolo.


torno a casa, spaghetti coi funghi, un po di aglio e prezzemolo... e già sapete. bicchiere di birra. sigarillo.arriva federica. poi alejandra con rocìo. qualche battuta e si mettono in cucina a cucinare. giro un o' per casa e finisco in cucina. cominciammo a parlare del mexico della spagna dell'italia e della germania, passiamo all'antropologia.


passo il pomeriggio a chiacchierare bevendo birra e fumare un pueblo liado. arriva la silvia. oggi è andata a pranzo con una sua amica, la chochito, e il suo amante turco. l'amante ha bisogno di parlare meglio spagnolo e ha chiesto a silvia di inseñarle un po'. super emozionata e contenta. chiacchiera e ora fuori. con questo bel sole.


il guadalquivir è un fiume. cha passa per sevilla. in realtá ce l'hanno fatto passare però va beh da egual.
tutto il fiume è fiancheggiato, dalla parte del centro, di un lungo fiume di circa 4 km tutto al livello del fiume con pista ciclabile e senza macchine. all'altezza di plaza de armas, la stazione degli autobus, c'è un parco. è abbastanza ficino al centro ed essendo la prima zona dove c'è prato al lato del fiume, molta gente si mette li a prendere il sole, bera, fare giocoleria e tutto quello che vi viene in mente quando pensate all':


oOZIOo


in questo parco ci troverete grossomodo gente che vive qui e abbastanza guiri


l'origine della parola guiris è legata indissulibilmente alla dominazione araba. I mori chiamavano guiri gli spagnoli che avevano i tratti somatici e il colore della pelle più chiara. se un mercante arabo incontrava un guiri, sapeva che quel giorno avrebbe fatto buoni affari.

ai giorni sono i sevillani che chiamano guiri gli americani, gli austriaci, finlandesi, insomma tutti quelli biondi bellocci con roba di marca e di chiare origini non mediterranee.


oggi per la prima volta mi resi conto di come, a prima vista sembrava che i guiri si addensassero dalla parte zinistra del parco, verso il centro, mentre alla sinistra beccavi sevillani, universitari, erasmus no guiri, vagabondi etc etc


pensai che sicuramente un contrinbuto a questa divisione era da dare al fatto che i guiris arrivavano dal centro perchè sono li le case dei guiris, mentre tutti gli altri, me compreso, arrivavamo dalla parte esterna

guardai un po' meglio e mi resi conto dell'esistenza di alcuni piccoli gruppi che rappresentava una eccezione. Giovani ragazze bionde sedute alla parte sinistra, giovani coatti sevillani sparsi alla destra della seria "hola canto flamenco quieres fojar?"

per chi conosce lo spagnolo, e buona parte di chi legge questo blog lo sa,


[in realta molti miei amici parlano spagnolo, e forse anche e grazie a loro che ho scelto la spagna come esilio e non altro. loro parlano spagnolo e io non potevo essere da meno, dovevo imparare lo spagnolo. che finchè la gente supponeva che, vista la mia esperienza pluriennale con anglo ablanti, il mio inglese rappresentava qualcosa che mi dava un valore superiore. però ormai la gente si è resa conto che il mio inglesa e fermo al 3 superiore, dovevo recuperare qusto il bonus "lingua conosciuta"]


il significato di questa frase è "ciao io canto flamenco, fottiamo?"
in realtà questa cosa funziona. la maggior parte delle guiri qui ha il sogno di fottersi uno che canti o balli flamenco. è la verita. una volta l'ho usato anche io. e sembrava funzionare. fino a che lei non mi ha chiesto di cantare una cosa. ora è risaputo che le guiri sono stupide, però convincerle che il tamburello è uno strumento tipico del flamenco è la parte più difficile. soprattutto quando si rendono conto che pizzicarella non è una parola andaluza.


Insomma alla fine mi sono trovato a fare i conti con il discorso di culture aperte e culture chiuse.


è chiaro che la maggioranza delle persona, ancora oggi, non è aperta allo straniero e quando si trova in territorio straniero tende a far gruppo con gli altri stranieri più simili a lui.
l'unica cosa che spinge un individuo a mischiarsi con altre culture è il sesso. claro.
e non pesnate che sia una cosa brutta o rara. pensateci. io c'ho pensato nel cammino dal parco all'internet point da dove vi scrivo.


saluti a tutti, dalla meravigliosa citta di sevilla. dove l'ozio, assume colori pastello. e il tempo, ubriaco, è svenuto sul suo stesso vomito


 


 


 

ore 13.00
31 gradi
10 euro per riparare la blanquita
una telefonata senza risposta
45 centesimi nella tasca
22 minuti su internet
3 amici que arrivano nei prossimi 3 giorni
una scelta da prendere
sei sicuro?

lunedì 21 aprile 2008

sole...

un giorno,
qualcuno,
(che potrei essere benissimo io ubriaco, ma non me lo ricordo)
si chiese


"è più facile partire
o tornare?"


poi chiuse gli occhi
e vomitò sul divano


tornò il sole nella capitale andaluza
dopo giorni ventilati e di pioggia
il cielo si apri
e illumino la piantina di edera poggiata sul como
nella camera del nostro eroe.


si avvicina una settimana piuttosto intensa
gente che torna e riempie gli spazi comparititi


 

mercoledì 2 aprile 2008

rivelazioni?

hanno scoperto che sono di più i morti per tabacco e affini,
che quelli morti in incidenti aerei.
e così ho smesso di volare

venerdì 14 marzo 2008

memorie di ragno

attualmente confinato
in epoca al di la del tempo
reagisco passivamente all'assenza
essenze malinconica
irascibile. irriconoscibile.
che con punky, malavaristi e altri animali vari,
rimane comunque molto spazio tuttintorno.


per buena suerte ritrovai la mia borsa
olvidata, come primo non avrei potuto,
affianco della sedia rimasta vuota.


incontri sfortuiti,
di passati mica emozionanti.
voglia nulla de hacer algo


e ritrovo i tempi passati,
chiusi in un cassetto lasciato aperto.
che a volte la routine non mi lascia fiato.


umido calore e cielo fumoso.
che una cervesa tira l'altra ma, a ver, dove conduce.
a volte bene a volte non sè


è come una ragnatela incastrata tra gli alberi.
spirale quasi perfetta, trappola a lo mejor.
che rimanendo fermo su un lato, è possibile percepire,
la presenza di una mosca intrappolata nei fili appiccicosi.
e giù di corsa verso la vibrazione,
per vomitarci su altra tela, questa volta mas ancha.


para comer, sin parar.

venerdì 7 marzo 2008

equazioni esistenziali

-5[...(...)(........


meno cinque,
parentesi quadra aperta,
parentesi tonda aperta e quasi chiusa.
ora si apre nuova tonda.
a ver..

giovedì 21 febbraio 2008

memorie di bolonia

arrivati a bolonia,
dopo il giro globale dell'andaluz
percepimmo,
dalla presenza di rovine del nostro impero,
che giá qualcuno,
prima di noi,
aveva percepito qualcosa di quel posto.

la spiaggia bianca,
incorniciava,
umile e umida,
l'oceano,
annoiato del solito ondeggiare.

il sole,
caldo come quello d'estate,
ormai si ritirava nelle sue stanze.

cominciammo a camminare,
sulla sabbia,
a volte dura, a volte molla,
verso la grande duna bianca,
che sulla destra spaccava in due una selva verde.

rimasti immobili,
per qualche istante,
a navigare sulle barche,
abbandonate li,
sulle onde di arena polverosa.

e il sole si nascondeva ormai,
proprio li, dietro la duna.
sarebbe potuto essere l'ultimo tramonto,
che ne so,
metti che domani il sole non sorge più?

e allora via, di corsa, verso la duna.
il cammino era lunga,
ma la curiosità di vedere cosa si celasse dietro quella duna
era forte.... fortissima.

che camminare sulla sabbia,
si sa, è faticoso.
che cominciare a salire,
lo è ancora di più.

con Favlo sudato,
e il profeta col fiatone,

raggiungemmo la cima,
ma dietro, una nuova duna,
più alta della prima,
che nascondeva l'orizzone.

e allora si.
uno sguardo.
un cenno.
e si riparte verso la duna più alta.

ma arrivati in cima eccone un altra.
forse l'ultima
(questa era la speranza, questa l'illusione)
e dietro finalmente potremmo vedere gli ultimi raggi
dell'ultimo sole.

lentamente,
coi piedi e con le mani,
fino a su.
con le scarpe piene di sabbia,
che si sa rende le scarpe più pesanti.

arrivati..
di fronte il sole già sparito.
e alberi, alberi, alberi tutti intorno.
nulla di magico,
nulla di stupendo.
e con le mani sui fianchi
e a volte strisciando sulla fronte umida,
nulla di nulla.


sconsolati. ci guardiamo
e cadiamo al suolo.
ma alle nostre spalle una luce.
bianca,
forte.


una luna gigante,
così grande da poterla fotografare senza zoom
che illuminava tutto intorno.

la sabbia bianca,
le rovine romane,
l'oceano annoiato.


che correndo verso la duna
non ci eravamo accorti della luna.
vale,
ma da lassù lo spettacolo era strordinario.