martedì 22 dicembre 2015

Inciampi

A me la dama di picche di puckin, tra tutti i racconti letti durante la scuola, il racconto di puckin a me devo dire che non mi è piaciuto; anzi in realtà mentre lo leggevo mi chiedevo: come mai Paolo, Puckin, a paolo gli piace così tanto.
La dama di picche l’ho comprato il giorno prima di partire per Roma. Quando sono salito sul treno, ho sistemato lo zaino sopra la cappelliera e mi è venuto in mente che quasi nessuno ci mette i cappelli nella cappelliera, ci mettono piuttosto valige, zaini e cappotti. E allora anche io, invece di metterci il cappello ci ho messo lo zaino, anche perché io, il cappello, non c'è l’avevo. Insomma tornando al racconto di Puckim. Mi sono sistemato al mio posto e ho iniziato a leggerlo.
Era così noioso che io, dopo qualche pagina, era così noioso che mi sono addormentato, e quando mi sono svegliato, il racconto, era ormai finito.

Che io la prima volta che andai a Roma in treno, a 20 anni, ero andato per starci, per viverci a Roma. La prima volta che arrivai a Roma, che quella volta ero partito da Taranto, ed ero andato a Roma per fare l’Università, arrivai a Roma che ero molto timido.  E la mia, come dicono gli psicologi, “zona di confort”, ecco la mia zona di confort quella volta, non era una zona, piuttosto era una linea, sottile, tipo un filo di confort, sul quale dovevo sempre camminare in equilibrio tra disagio, imbarazzo e rosso-in-faccia.

E allora un giorno, mi venne in mente che l’unico modo per uscirne da questa cosa, della timidezza, era cominciare a fare volontariamente figure di merda.

E allora ho cominciato ad inciampare, cioè a far finta di inciampare, e cadere anche per terra, in posto affollati: tipo nei corridoi dell’Università alle 11 di mattina, o suo gradini di piazza si Spagna il sabato pomeriggio, o in attesa che cominciasse un concerto in qualche locale pieno di gente.
Il migliore inciampo che mi ricordo, fu, mi ricordo, alla mia tesi di laurea, anche se li sono riuscito a non cadere per terra, grazie a dio.

La cosa funzionò abbastanza, anche se, ultimamente, mi capita di nuovo di arrossire abbastanza spesso. Ma, pensandoci, non so dire se oggi la cosa mi disturba più.

Mi Ricordo

Mi ricordo che a natale quando ero piccolo, il giorno di natale, il 25, a pranzo, c’erano sempre zio Dino e zia sabina.
Mi ricordo che ogni anno loro regalavano a me e a mio fratello un pigiama ciascuno.
Mi ricordo che i pigiami che ci regalavano erano brutti, con dei colori improbabili, con gli elastici alle caviglie.
Mi ricordo che quelli che regalavano a me erano ancora più brutti di quelli che regalavano a mio fratello, tipo a me a rombi bordó e grigio e a mio fratello a rombi blu e grigio.

Mi ricordo però un anno un natale diverso dagli altri.

Mi ricordo un natale che il mio pigiama era blu con uno sciatore disegnato, che faceva una discesa velocissima.
Mi ricordo che ero molto contento.
Mi ricordo che mia mamma propose di usare il pigiama come tuta, per andarci a scuola.
Mi ricordo che pensai che non era una grande idea.
Mi ricordo che mia mamma mi disse: c’è lo sciatore, sembra una tuta.
Mi ricordo che mi convinse.

Mi ricordo che al rientro dalle feste di natale, andai a scuola con la mia nuova tuta.
Mi ricordo che mi sentivo molto figo ad andare in giro con una tuta con disegnato uno sciatore che sciava velocissimo.

Mi ricordo che durante l’intervallo si era avvicinato Cristian Saracino, che era un ragazzo molto intelligente per la sua età.

Mi ricordo che fissò a lungo lo sciatore e la mia nuova tuta.
Mi ricordo che a un certo punto affermò “quella non è una tuta, sembra un… pigiama”
Mi ricordo che tutta la classe si girò a guardarmi e a guardare lo sciatore.
Mi ricordo che faceva abbastanza freddo.
Mi ricordo che dopo quache secondo risposi: “ c’è lo sciatore… è una tuta”.
Mi ricordo che faceva meno freddo.
Mi ricordo che tutti ripresero a parlare e a farsi i fatti loro.
Mi ricordo che Cristian riprese a fissare lo sciatore.
Mi ricordo che riprese a far freddo.

Mi ricordo che dopo qualche secondo Cristian parlò di nuovo.
Mi ricordo, e non me lo scordo che disse con aria di vittoria:
“è un pigiama: non ha le tasche.”