domenica 25 dicembre 2016

Ri-conoscenza

Mi capita a volte, in rete, di cercare cose e trovarmi a cliccare su delle pagine che non riportano la data.

E allora mi è venuto in mente quando durante le ore di inglese, alle medie, ogni volta la teacher ci faceva cominciare la pagina della lezione di quel giorno, facendoci mettere la data scritta per lungo, in inglese. Era un modo per farci imparare i mesi i giorni ma soprattutto i numeri  del mese che con il suffisso st, rd e th.

E mi è venuto in mente che quando uno scrive una cosa la scrive in quel momento preciso in cui la scrive.

Ma la stessa pagina chi la legge la legge in quel momento preciso in cui la legge.

E quindi, quel che è scritto, vive in un tempo indefinito che è ora quando io la scrivo ed è ora quando tu la leggi.

E allora ho messo un po’ in discussione quello che volevo scrivere cominciando queste parole qualche minuto fa, che ci avevo pensato un sacco stamattina e avevo pensato di cose diverse ma non fa niente.

Concludo che in effetti le cose scritte che hanno una data, beh questa cosa della data alcune volte puó avere senso ma, altre volte, questa cosa della data non è che per forza occorre specificarla, dipende.

E stamattina, anche, pensavo alla riconoscenza.
Che però la pensavo scritta ri-conoscenza.

E lo pensavo per via della persona che mi ha chiesto di scrivere questa cosa, che poi è l’unica con data 2016 pubblicata qui.

E pensavo a lui e alla riconoscenza perché lui sa quanto mi piace scrivere cose così come questa, è da un po' proprio non riesco a mettermici e scriverla una cosa come questa e invece, se me lo chiede lui, allora la scrivo e gliene sono riconoscente, che me lo chieda.

E la ri-conoscenza è il fatto che ormai io e lui siamo due persone ben diverse da quando abbiamo fatto conoscenza:

+ La prima volta al balcone del 5th piano
+ Quando ci siamo trovati nella stessa classe alle medie
+ Improvvisando blues in spiaggia a ferragosto
+ Bevendo borghetti e organizzando testuggini al primo maggio
+ Facendo a turno per stirare le camice con il ferro da stiro di Paolo
+ Facendo incontrare il mio è la sua

E ogni volta, al di là della data scritta su in alto, è sempre una gioia fare la sua ri-conoscenza.

martedì 22 dicembre 2015

Inciampi

A me la dama di picche di puckin, tra tutti i racconti letti durante la scuola, il racconto di puckin a me devo dire che non mi è piaciuto; anzi in realtà mentre lo leggevo mi chiedevo: come mai Paolo, Puckin, a paolo gli piace così tanto.
La dama di picche l’ho comprato il giorno prima di partire per Roma. Quando sono salito sul treno, ho sistemato lo zaino sopra la cappelliera e mi è venuto in mente che quasi nessuno ci mette i cappelli nella cappelliera, ci mettono piuttosto valige, zaini e cappotti. E allora anche io, invece di metterci il cappello ci ho messo lo zaino, anche perché io, il cappello, non c'è l’avevo. Insomma tornando al racconto di Puckim. Mi sono sistemato al mio posto e ho iniziato a leggerlo.
Era così noioso che io, dopo qualche pagina, era così noioso che mi sono addormentato, e quando mi sono svegliato, il racconto, era ormai finito.

Che io la prima volta che andai a Roma in treno, a 20 anni, ero andato per starci, per viverci a Roma. La prima volta che arrivai a Roma, che quella volta ero partito da Taranto, ed ero andato a Roma per fare l’Università, arrivai a Roma che ero molto timido.  E la mia, come dicono gli psicologi, “zona di confort”, ecco la mia zona di confort quella volta, non era una zona, piuttosto era una linea, sottile, tipo un filo di confort, sul quale dovevo sempre camminare in equilibrio tra disagio, imbarazzo e rosso-in-faccia.

E allora un giorno, mi venne in mente che l’unico modo per uscirne da questa cosa, della timidezza, era cominciare a fare volontariamente figure di merda.

E allora ho cominciato ad inciampare, cioè a far finta di inciampare, e cadere anche per terra, in posto affollati: tipo nei corridoi dell’Università alle 11 di mattina, o suo gradini di piazza si Spagna il sabato pomeriggio, o in attesa che cominciasse un concerto in qualche locale pieno di gente.
Il migliore inciampo che mi ricordo, fu, mi ricordo, alla mia tesi di laurea, anche se li sono riuscito a non cadere per terra, grazie a dio.

La cosa funzionò abbastanza, anche se, ultimamente, mi capita di nuovo di arrossire abbastanza spesso. Ma, pensandoci, non so dire se oggi la cosa mi disturba più.

Mi Ricordo

Mi ricordo che a natale quando ero piccolo, il giorno di natale, il 25, a pranzo, c’erano sempre zio Dino e zia sabina.
Mi ricordo che ogni anno loro regalavano a me e a mio fratello un pigiama ciascuno.
Mi ricordo che i pigiami che ci regalavano erano brutti, con dei colori improbabili, con gli elastici alle caviglie.
Mi ricordo che quelli che regalavano a me erano ancora più brutti di quelli che regalavano a mio fratello, tipo a me a rombi bordó e grigio e a mio fratello a rombi blu e grigio.

Mi ricordo però un anno un natale diverso dagli altri.

Mi ricordo un natale che il mio pigiama era blu con uno sciatore disegnato, che faceva una discesa velocissima.
Mi ricordo che ero molto contento.
Mi ricordo che mia mamma propose di usare il pigiama come tuta, per andarci a scuola.
Mi ricordo che pensai che non era una grande idea.
Mi ricordo che mia mamma mi disse: c’è lo sciatore, sembra una tuta.
Mi ricordo che mi convinse.

Mi ricordo che al rientro dalle feste di natale, andai a scuola con la mia nuova tuta.
Mi ricordo che mi sentivo molto figo ad andare in giro con una tuta con disegnato uno sciatore che sciava velocissimo.

Mi ricordo che durante l’intervallo si era avvicinato Cristian Saracino, che era un ragazzo molto intelligente per la sua età.

Mi ricordo che fissò a lungo lo sciatore e la mia nuova tuta.
Mi ricordo che a un certo punto affermò “quella non è una tuta, sembra un… pigiama”
Mi ricordo che tutta la classe si girò a guardarmi e a guardare lo sciatore.
Mi ricordo che faceva abbastanza freddo.
Mi ricordo che dopo quache secondo risposi: “ c’è lo sciatore… è una tuta”.
Mi ricordo che faceva meno freddo.
Mi ricordo che tutti ripresero a parlare e a farsi i fatti loro.
Mi ricordo che Cristian riprese a fissare lo sciatore.
Mi ricordo che riprese a far freddo.

Mi ricordo che dopo qualche secondo Cristian parlò di nuovo.
Mi ricordo, e non me lo scordo che disse con aria di vittoria:
“è un pigiama: non ha le tasche.”

mercoledì 4 novembre 2015

900

Io la gente che posta su facebook le foto di quando erano giovani, questi, secondo me, ecco... dovrebbe essere sbagliato. Io, che non ho facebook, addirittura ho smesso anche di parlarne di quando era prima, cioè prima di adesso, tipo il secolo scorso. Il secolo scorso...che detto così sembra proprio una cosa iper antica ma io, davvero, mi sembra un altro secolo.

A Bologna i bolognesi, ma anche quelli che a Bologna non ci sono nati, dicono che a Bologna si stava meglio prima, un prima generico e che a Bologna, ora, non è come prima.
Ecco io se penso al 900 mi sento come un umarell di Bologna che racconta Bologna quando lui era bambino.

Ecco secondo me, il passato, ha la caratteristica che nel passato si è sempre più giovani di adesso, del presente insomma. E per forza quando si è giovani le cose, a prescindere, le cose sono più belle.

O forse. Semplicemente prima si stava meglio e basta, ma secondo me, questa cosa qui, è come l’ho detta prima.

Comunque sul fondo dei miei ricordi del ‘900 ci sono queste cose:
Io d’estate, sdraiato in mutande sul divano letto di casa di mia nonna, che giro la rotella di una radiolina portatile cercando e ricercando mai sazio la canzone “hanno ucciso l’uomo ragno” degli 883, appena uscita;
Mio padre, che guidando verso Cortina tiene sulle gambe la cartina, quella stradale, aperta come un lenzuolo, una mano sul volante, e l’altra, col dito che cerca di capire dove ci porterà quella linea verde e mia madre, con voce dolce, che gli chiede: “vuoi un po’ d’acqua caro?”;
Il telefono fisso che squilla e io e mio fratello che corriamo a rispondere per primi sperando che sia la nostra lei e tirare il filo ad elica che si allunga che non è possibile, alla fine rispondo io ma è zia Giovanna, che vuole mamma.

martedì 20 ottobre 2015

Coppi sui tetti

Esercizio 2: Descrivi cosa vedi sotto la tua finestra

Dalla finestra dalla quale mi sto affacciando, se guardo sotto, vedo tutto dall'alto, nel senso che casa mia rimane più alta delle altre cose che c'è davanti.

Per questo dalla mia finestra, se guardo verso il basso, si vedono, sotto, i tetti delle case, le stesse case che, se guardo invece dritto, il mio sguardo le salterebbe.

I tetti di queste case, sono fatti alti al centro e scendono verso i due lati opposti, creando due piani inclinati, su cui, sono solo poggiati l'uno sull'altro dei mattoncini sottili e ondulati che dalle mie parti le chiamiamo tegole mentre qui li chiaman coppi (c'è anche una detto che fa: "oh ma siam fuori dai coppi?").

I tetti fatti così, invece, li chiamano tutti, quando li chiamano, tetti a spiovente, anche da dove vengo io, a Taranto. Ma a Taranto, anche se sappiamo come si chiamano, non si usano tanto i tetti a spiovente, che poi ho capito che quando nevica, quando ne fa molta, la neve scivola meglio giù dal tetto a spioventi, ed effettivamente, a Taranto, la neve, io, l'ho vista due volte, e quindi forse è per questo che i tetti delle case, a Taranto, sono diversi, sono piatti.

E guardando il tetto a spiovente ho pensato a quando ero molto piccolo e mi chiedevano di disegnare una casa. Ci avevano insegnato a disegnarle, le case, con un quadrato sotto e, sopra il quadrato, un triangolo largo uguale, con la punta verso l'alto e io avevo cominciato a disegnarle così pure io, le case. Poi un giorno volevo disegnare una casa e mi sono chiesto come mai ci dovevo mettere il triangolo sopra il quadrato visto che le case che vedevo, che erano palazzi, di quelli con i tetti piatti, con il terrazzo, per capirci, le case non avevano la punta, erano piatte. E allora avevo cominciato a disegnare le case quadrate senza triangolo e la maestra un giorno mi ha detto: bravo ma se manca il tetto, se piove, la casa si riempie d'acqua. E allora avevo ripreso a metterci il triangolo, sopra il quadrato, perché mi dispiaceva per quelli di sotto, che me li immaginavo, poverini, con i piedi nell'acqua.